Armando Siri «temporeggia» e Conte annuncia l’atto di imperio con la revoca. «Il governo del cambiamento tutela i cittadini, non interessi di parte». Il presidente del Consiglio legge un discorso dopo aver atteso un gesto dell’esponente leghista nelle ultime ore, decide di forzare, annunciando che proporrà la revoca di Siri al prossimo Consiglio dei Ministri.
Nessuna dilazione ulteriore, quindi, viene ammessa dal premier, consapevole del fatto che la sua decisione rischi di aprire un’ulteriore crepa in un governo che già naviga nello scontro permanente.
Ad una manciata di minuti dalla convocazione della conferenza stampa, Siri dirama una nota in cui ribadisce la sua innocenza e promette di dimettersi non ora, ma nel giro di poche settimane. «Confido che una volta sentito dai magistrati la mia posizione possa essere archiviata in tempi brevi. Qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, farò un passo indietro», spiega il sottosegretario ai Trasporti.
La nota viene diramata alle 18:26, quattro minuti prima dell’inizio previsto della conferenza di Conte. E le parole dell’esponente leghista arrivano come un fulmine nella stanza del premier. L'ira del capo del governo è palpabile. Il premier scende in sala stampa con una trentina di minuti di ritardo, con volto teso, e legge le sue «motivazioni».
«E' normale ricevere suggerimenti per nuove norme ma come governo abbiamo la responsabilità di valutare se le proposte hanno il carattere della generalità e astrattezza» e la norma al centro dell’inchiesta «era una sanatoria per un singolo imprenditore», spiega Conte ribadendo quanto aveva anticipato nelle due ore di colloquio con Siri: «non mi voglio ergere a giudice del caso ma la vicenda politica ha un corso diverso da quella giudiziaria».
Ed è su questo punto che Conte fa valere il suo ruolo. «Le dimissioni si danno o non si danno. Le dimissioni future non hanno senso», scandisce il premier "smontando" la tesi di Siri anche come avvocato. «Eventuali dichiarazioni spontanee dell’interessato non potranno segnare una svolta dell’inchiesta», osserva, prima di ammonire i due alleati: «la Lega non si lasci guidare da una reazione corporativo e il M5S non ne approfitti per cantare vittoria».
La mossa del premier arriva mentre Matteo Salvini è in Ungheria. E il vicepremier trattiene a stento la calma. «Lascio a Conte e Siri le loro scelte. A me va bene qualunque cosa, se me la spiegano», sottolinea il leader della Lega parlando del caso come di una «vicenda locale che non ferma il governo». Ma ribadendo la tesi secondo cui Siri dovrebbe parlare con i Pm prima di dimettersi. «In un Paese civile funziona così», sottolinea. Luigi Di Maio, in tv, cerca di nascondere la soddisfazione per una vicenda che, elettoralmente, potrebbe incidere sui consensi per il M5S.
«Non esulto e non credo sia una vittoria», sottolinea Di Maio bollando la nota di Siri come "una strada un pò furba» e cercando di attenuare lo scontro con Salvini: «Chiuso il caso Siri: vediamoci, parliamoci, e
lavoriamo», è l’appello di Di Maio alla Lega. Anche perché, al di là di questo caso, lo scontro è totale. "Le province sono un inutile amarcord, chi le vuole si trovi un altro alleato", attacca Di Maio in mattinata. E dalle Province alle Autonomie la tensione tra M5S e Lega è costantemente alta e si propaga su ogni argomento incluso quella Flat tax sulla quale Salvini non ammetterà sconti. Tanto che, dall’Ungheria, il leader della Lega lancia una stoccata non da poco.
«Ridurre le tasse è l’unico modo per far ripartire il Paese: il reddito di cittadinanza non fa ripartire l’Italia», sono le sue parole. Toccherà a Conte trovare una quadra in un contesto via via più difficile. Siri un problema? «Ne abbiamo tanti e ci lavoriamo ogni giorno...», osserva il premier prima salutare i cronisti.
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