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Caso Siri, il premier tira dritto ma la Lega attacca: "Conte non più arbitro"

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

Un passo indietro di Armando Siri, una decisione personale per evitare una clamorosa spaccatura del Consiglio dei ministri sul suo nome. E’ la novità che potrebbe arrivare prima che, alle 10 di mercoledì, il premier e i suoi ministri si riuniscano a Palazzo Chigi.

Giuseppe Conte, così come il M5s, lo auspica. Matteo Salvini tiene fermo il no alle dimissioni: non cambia idea. Ma il sottosegretario leghista, che a breve sarà ascoltato in procura a Roma e intanto si ritrova coinvolto anche in un’inchiesta a Milano sull'acquisto di una casa, potrebbe decidere in extremis.

In ogni caso, la strada è tracciata: senza il passo indietro, il presidente del Consiglio proporrà al Cdm il decreto di revoca del sottosegretario. E «non ci sarà una conta» dei ministri, perché il voto non è previsto. La ricaduta sul governo, però, c'è. La Lega ormai lo dichiara apertamente. Nella vicenda Siri, osserva il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, Conte si è «sbilanciato» dalla parte del M5s e dunque non è più «arbitro» tra i due alleati di governo.

Sarà "un problema ricucire" i rapporti con il Movimento dopo le europee, perché gli attacchi personali hanno logorato l'alleanza. Di più. Dalle fila leghiste c'è chi sostiene che ormai ci sia ben poco da ricucire: si è rotta l’intesa tra Di Maio e Salvini e dopo le europee, a seconda del risultato (soprattutto se la distanza dal M5s sarà di almeno 10 punti), si valuterà come procedere.

Ma i Cinque stelle ostentano tranquillità: dopo si gioca un’altra partita e rompere per i leghisti non sarà così facile. Intanto, fanno notare, un sondaggio Swg per la7 li dà in risalita di un punto percentuale, mentre la Lega ne perde uno (22,7% contro 30,7%). Come a dire, la strategia tutta d’attacco paga.

Il premier Conte si mostra sereno: sulla vicenda Siri è convinto di aver usato un metro di giudizio limpido e lineare, da «presidente del Consiglio di garanzia, ma non arbitro». Ecco perché se non arriveranno le dimissioni, firmerà il decreto di revoca. Senza scossoni, scommettono dal M5s, nel governo. Anche perché, afferma Luigi Di Maio, Salvini dovrebbe assumersi la responsabilità di far saltare tutto per un sottosegretario.

«Mercoledì vado in Cdm assolutamente tranquillo», afferma Salvini, smentendo defezioni leghiste. Il ministro dell’Interno potrebbe portare sul tavolo del Consiglio il suo secondo decreto su sicurezza e immigrazione, che in ogni caso vorrebbe varare prima delle elezioni. Tornerà in pressing anche per il via libera alle intese sull'Autonomia (ma Conte vedrà il ministro Erika Stefani solo mercoledì sera). E non esclude altre iniziative, sui temi concreti. Per dare la misura di una Lega impegnata sulle cose da fare e «non sulle polemiche».

Quanto a Siri, sul sottosegretario piomba una nuova tegola: la procura di Milano apre un’inchiesta, al momento senza ipotesi di reato né indagati, sul caso - svelato da Report - dell’acquisto di una palazzina a Bresso, nel milanese, attraverso un mutuo di 585mila euro acceso con una banca di San
Marino.

«Se gli contestano di avere un mutuo, è un reato che stanno compiendo alcuni milioni di italiani», ironizza Salvini. Che tiene una ferma linea garantista ("Possono aprire tutte le inchieste che vogliono") e si proclama contro le dimissioni del sottosegretario. Ma Siri potrebbe, ammette Romeo, fare un passo indietro spontaneo, una scelta personale. Soprattutto se prima di mercoledì mattina sarà ascoltato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta che lo vede indagato per corruzione.

Prima di mercoledì «ci saranno novità», dice Giancarlo Giorgetti, nel denunciare un «clima persecutorio». Se così non sarà, arriverà la revoca in Cdm. Senza un voto (e la messa a verbale della spaccatura dei ministri), perché il voto formalmente non serve. Il M5s intanto continua a incalzare.
Senza farsi frenare dall’invito di Salvini a «tapparsi la bocca».

E quando il vicepremier leghista dalla Campania afferma la presenza dello Stato ovunque vi sia «puzza di mafia e camorra», la risposta di fonti pentastellate è durissima: «Basta la puzza, il sospetto. E’ proprio ciò che ci ha spinto a chiedere le dimissioni di Siri, coinvolto in una indagine per corruzione dove ci sono link con la mafia».

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