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Governo, l'ultimatum di Conte a Salvini e Di Maio: "Io non vivacchio, o si va avanti o mi dimetto"

Il premier Giuseppe Conte

«Non mi presto a vivacchiare, galleggiare. Sono pronto a rimettere il mio mandato al presidente della Repubblica». Eccolo, l’ultimatum di Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio guarda dritto davanti a sé e si rivolge a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. «Decidano» se vogliono andare avanti o no, con «leale collaborazione» e «senza provocazioni», dice. «Chiedo una risposta chiara, inequivoca e rapida» o - avverte - sarà crisi di governo.

«La Lega c'è», risponde Salvini, mentre il premier ancora sta parlando e dettando la sua agenda. «Allora vediamoci», ribatte Conte, mentre Di Maio più tardi ricorda che il Movimento è la prima forza politica e che è «leale». La crisi è aperta, il premier riferisca in Parlamemnto, gridano compatte le opposizioni. Infatti le prime dichiarazioni dei leader politici non chiariscono il quadro: restano infatti le diffidenze reciproche e le richieste che divergono.

Dai vincoli Ue, alla flat tax e alla Tav, i temi che fanno fibrillare la maggioranza sono tutti ancora aperti. Il rischio della crisi c'è. Anzi, secondo il Pd il premier l’ha «ufficialmente aperta». In cima a tutte le preoccupazioni Conte pone i conti pubblici. E lancia un messaggio chiaro a M5s e Lega. Devono lasciarlo, afferma, trattare insieme a Giovanni Tria per evitare una procedura d’infrazione che «farebbe molto male». Poi devono prepararsi a una manovra «complessa» per la quale servono «coesione» e «condivisione» nel rispetto dei vincoli Ue.

Qui arriva la stoccata più dura a Salvini: «Finché le regole non si cambiano, vanno rispettate», dice il premier. Ma il leader della Lega non sembra affatto convinto: «Il voto alle europee è stato chiaro, le regole vanno cambiate». Stare nei vincoli, spiega Conte, serve anche a tranquillizzare i mercati, allarmati dal peso del debito italiano: «Per dare fiducia servono parole univoche». Più morbido Di Maio: «questa è l’unica maggioranza possibile e che può servire meglio il Paese. Andiamo avanti con lealtà e coerenza».

Non è sicuro, Conte, che la frattura si possa ricomporre. E lo dice chiaro e tondo. «Non posso essere certo della durata del governo, non dipende solo da me», ammette, in una lunga conferenza stampa nella Sala dei Galeoni di Palazzo Chigi. Si mostra fermo e determinato. Sbotta quando una giornalista tedesca lo incalza sui migranti morti in mare. E sillaba le frasi quando chiede a M5s e Lega «leale collaborazione» per potere andare avanti. Ripercorre le cose fatte ed elenca le tante cose che vorrebbe fare in una «fase 2» che considera già aperta.

«Non bastano i like, serve visione», è la stoccata ai vicepremier. Ammette di aver sottovalutato l’effetto dirompente
della «campagna elettorale permanente degli ultimi mesi» ma spiega che l’effetto è aver indebolito la «coesione» di un governo che raccoglie «l'entusiasmo della gente comune» e ha fatto finora «un incredibile lavoro di squadra». E’ invece «falsa» la narrazione della stampa di un governo in «stallo», assicura Conte.

Ma quella narrazione, ammette, è stata alimentata proprio da M5s e Lega: «Basta conflitti. Se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare». Salvini ribatte mentre ancora Conte è in conferenza stampa. Scrive su Facebook che «la Lega c'è», però poi aggiunge puntuto: «Noi abbiamo continuato a lavorare». E sottolinea «noi». Aggiunge l’elenco delle sue priorità e avverte che si va avanti solo se «tutti mantengono la parola».

E’ in questo quadro che Conte prova a dettare le condizioni. Non chiude al rimpasto ma dice che nessuno gliel'ha chiesto. Basta «prevaricazioni» tra ministri e «minacce a mezzo stampa», è il messaggio. Sarebbe sbagliato, aggiunge, aprire la crisi per incassare il dividendo elettorale (la Lega) o per mantenere la propria purezza (il M5s). Il premier dice di non essere 'targato' M5s ma ammette che «non dipende solo» da lui la vita del governo.

Per il suo ruolo chiede rispetto e così convoca a Palazzo Chigi la maggioranza per discutere l’emendamento leghista che blocca per due anni il codice degli appalti. La flat tax è parte «di una più ampia riforma fiscale», afferma. E sulla Tav, sia pure lasciando uno spiraglio al Sì, rigetta i diktat di Salvini: «oggi così com'è non la farei: o trovo un’intesa con la Francia e la Commissione europea o il percorso è bello e segnato».

«Conte ammette di non contare nulla», osserva da Fi Maria Stella Gelmini. «Ha ammesso la paralisi, il disastro», afferma dal Pd Nicola Zingaretti. Mentre Graziano Delrio gli chiede di riferire in Parlamento: «Ha aperto la crisi».

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