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Fase 2, Conte frena le Regioni e annuncia nuove aperture dal 18 maggio

Giuseppe Conte

Negozi, ristoranti, parrucchieri potrebbero riaprire il 18 maggio, almeno in alcune Regioni. Ma solo se i dati del monitoraggio del contagio daranno disco verde, non certo su iniziativa «improvvida» e «illegittima» di singoli governatori.

Il premier Giuseppe Conte affronta le Aule parlamentari trasformate in ring e non solo difende le scelte compiute sul 4 maggio ma decide di indicare un orizzonte chiaro per aperture più ampie e di offrire spiragli per il riavvio di asili nido e campi estivi. Ribatte anche alle critiche di chi lo accusa di essersi mosso con i suoi dpcm fuori dalla Costituzione: il governo, sottolinea, ha sempre rispettato quei principi e non ha mai agito «in solitaria».

Non convince però né l'opposizione, né Matteo Renzi, che gli lancia un «ultimo appello» che sa di ultimatum: «Non abbiamo sventato i pieni poteri a Salvini per darli a te: se scegli il populismo non avrai Iv al tuo fianco». La maggioranza «esiste», dice fermo Conte, lasciando nel pomeriggio Palazzo Madama. E non appare una frase scontata. Secondo l’opposizione, i partiti di governo in Senato non avrebbero avuto da soli i voti per approvare il Documento di economia e finanza ("Solo 158 sì, sui 276 totali"). E Renzi ruba la scena a Matteo Salvini, che dalla scorsa notte con i suoi occupa le Aule parlamentari, riaprendo la partita politica che era stata messa in quarantena dal Coronavirus: Iv minaccia di lasciare la maggioranza senza risposte e «una visione» chiara su riaperture e misure economiche. L’ex premier cita anche i morti di Bergamo e Brescia per esigere riaperture ("se fossero qui le avrebbero chieste") e si attira una bufera sui social e una strigliata del sindaco di Bergamo Giorgio Gori: «uscita infelice».

Il premier liquida con parole gelide l’attacco di Renzi: "Nessun ultimatum, chiede di fare politica e la stiamo facendo». Vito Crimi per il M5s e Andrea Orlando per il Pd lo difendono da accuse «irresponsabili» e «manovre di palazzo». Ma la tensione è alle stelle, anche perché continuano i litigi in maggioranza sulle misure economiche e i Dem, con Andrea Orlando e Stefano Ceccanti, continuano a chiedere al premier di limitare l’uso dei dpcm. La data cerchiata in rosso sembra essere il 18 maggio, il nuovo orizzonte della «fase 2». Prima di allora, annuncia il presidente del Consiglio, arriveranno due nuovi decreti del governo sul fronte economico.

Il primo è il decreto da 55 miliardi che era annunciato da aprile con misure da 25 mld per cassa integrazione, bonus autonomi e per colf e badanti. Ci saranno «meccanismi di erogazione rapidi ed efficaci», dice il premier, che chiede ai parlamentari di premere sulle banche perché agiscano. Il secondo decreto sarà per «la Rinascita», con il riavvio di cantieri con iter più rapidi, investimenti, semplificazioni. Il premier difende il dpcm per la fase 2, spiega di non poter né voler controllare i rapporti familiari, ma aggiunge che da quelli nasce un quarto dei contagi. Perciò le aperture di ristoranti, musei e parrucchieri si valuteranno sulla base del meccanismo di monitoraggio del contagio elaborato dal ministro della Salute. Due gli scenari. Il primo: nelle aree (Regioni, città, frazioni) in cui il contagio sale, si procederà a chiusure «mirate».

Il secondo: nelle Regioni dove il contagio è più basso, come alcune di quelle del Sud, ci saranno aperture più ampie e accelerate. Con 105mila contagi accertati ("Ma sarebbero molti di più"), per adesso non si può fare di più. "Abbiamo scelto anche misure impopolari senza pensare al consenso, perché per ora non si può assicurare il ritorno alla normalità», spiega Conte. Che difende la sua linea anche dall’accusa di aver poco coinvolto il Parlamento nelle decisioni. Il governo, sottolinea, agisce dopo una dichiarazione di stato d’emergenza e sulla base di due decreti che danno supporto normativo: i dpcm servono ad assicurare «tempestività». Decisioni «ondivaghe», rivendica, avrebbero avuto effetti irreversibili. I principi costituzionali richiamati dalla presidente della Consulta Marta Cartabia «non sono mai stati trascurati né affievoliti», afferma. Ma non convince tutti.

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