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Letta al centrodestra: "Patto per governo e Colle. Berlusconi è divisivo"

«Un patto di legislatura»: un’intesa su un nuovo presidente della Repubblica «super partes», su un governo che arrivi al 2023 e sulla legge elettorale. Enrico Letta prova a rompere con questa proposta lo stallo sul Quirinale. Il no del Pd alla candidatura di Silvio Berlusconi, "il nome più divisivo possibile», è netto e corale. Ma i Dem non vogliono lasciare al centrodestra «la proprietà del Colle». E allora il segretario ottiene un mandato unanime a trattare, per provare a «riaprire le porte del dialogo» ed evitare che il voto sul capo dello Stato travolga anche il governo. La priorità è "proteggere la figura di Draghi», sottolinea Letta, che tiene aperta la via di una sua successione a Mattarella. Ma è un altro lo schema di Matteo Salvini: rivendica «l'onere» di indicare il nome, «senza veti», e invoca Draghi a Palazzo Chigi, con un accordo per «rafforzare il governo».

Mentre Fdi teme patti che lo escludano e richiama il centrodestra all’unità su un presidente «garante». Silvio Berlusconi venerdì sera è tornato ad Arcore, dopo il vertice con gli alleati e l’endorsement alla sua candidatura. Gli hanno chiesto di mostrare con i numeri la solidità del tentativo e la conta per reperire la sessantina di voti necessari al quorum prosegue. Resta ancora molta prudenza nel centrodestra sulla candidatura del Cav: «All’ultimo miglio ci saranno i candidati veri», dice Luca Zaia. Ma tra gli azzurri c'è chi assicura che la candidatura è seria e anche in casa Pd c'è la «paura che qualcuno tra i Dem e i Cinque stelle voti Berlusconi». I toni della riunione del Pd, alla presenza dei circa 150 grandi elettori Dem, sono in effetti preoccupati. Ma lo sono soprattutto per il rischio, evocato dal capo delegazione al governo Andrea Orlando, che «la rottura dello schema» di unità nazionale metta a rischio anche la tenuta «del governo e della legislatura».

No alle elezioni anticipate

Il no alle elezioni anticipate e la «continuità del governo» sono centrali anche per Letta: il passaggio è cruciale «per il futuro». Il segretario non mette in campo, per ora, una candidatura alternativa, perché «fare nomi vuol dire bruciarli». Ma spiega che con le capigruppo tornerà a informare i grandi elettori Dem a ogni passaggio: bisognerà decidere con Giuseppe Conte e Roberto Speranza se fare un nome di bandiera nelle prime tre votazioni (si cita Anna Finocchiaro) o votare scheda bianca. E poi che fare - l’ipotesi più quotata è uscire dall’Aula - se il Cav tenterà l’elezione al quarto scrutinio. Il Pd continua a lavorare a un «patto» largo su un nome «di garanzia» per il Quirinale, sul governo e sulle riforme dei regolamenti parlamentari (contro il trasformismo) e della legge elettorale (centristi e Iv vorrebbero il proporzionale). La proposta viene rivolta a Leu e M5s - ma Conte non risponde all’appello, resta in silenzio - poi agli azionisti dell’attuale maggioranza. Lo schema indicato, «garantendo Draghi», potrebbe portare sia il premier al Colle, sia il Mattarella bis. E la relazione mette d’accordo tutti, in una direzione in streaming lunga quattro ore. Ma tra le righe emergono accenti diversi, i primi distinguo. Più d’uno chiede a Letta un’iniziativa con una candidatura. Lo fa Goffredo Bettini, che vuole Draghi a Chigi. E anche Orfini, che invoca il Mattarella bis. Secondo Orlando bisogna prepararsi anche allo scontro. E Franco Mirabelli, dell’area che fa capo a Dario Franceschini, invoca la permanenza di Draghi a Chigi. Stefano Bonaccini e Cesare Damiano dicono al contrario che sarebbe un errore escludere Draghi al Colle. Alessandro Alfieri, dell’area che fa capo a Guerini e Lotti, pone l’accento sulla continuità del governo. Ma è un nome di centrodestra per il Colle, lo schema che ha in mente Salvini, con Draghi a Palazzo Chigi rafforzato da un rimpasto di governo.

In mattinata una nota della Lega invoca un presidente che riformi «in modo radicale» il Csm e accusa Marta Cartabia di non averlo fatto, escludendola così dal toto nomi. Se il Cav ritirerà la sua candidatura, i profili citati sono quelli di Elisabetta Casellati, Franco Frattini, Marcello Pera o Gianni Letta (meno quotati Casini e Amato). Ma Berlusconi non sarebbe intenzionato a indicare un altro nome di centrodestra, perciò i leghisti temono che alla fine si sfili per indicare Draghi. Sarebbe difficile dire no.

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