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Fini torna in Tv: mea culpa su Pdl e promuove Giorgia Meloni

Non le servono consigli. Ma su diritti e Covid avverte la premier

Dieci anni dall’ultima volta in tv. Nove dall’addio alle scene che contano della politica italiana. Colpa, anche e soprattutto, della pesantissima debacle elettorale di Futuro e Libertà, sua creatura politica post-Pdl che alle urne del 2013 lo relegarono ad un umiliante 0,47% di consensi. Ma Gianfranco Fini, oggi ospite di Lucia Annunziata, non appare un pensionato della politica, anche se di politica - scandisce - non tornerà più ad essere parte attiva. E dispensa consigli, suggerimenti. Anche se, tiene a precisare, la neo premier Giorgia Meloni «non ha bisogno di essere ispirata» . L'ha votata, conferma. In caso, rivendica con una punta di orgoglio, «posso dire che c'è stato chi ha aperto una rotta» - come quella della svolta di Fiuggi - «e poi è toccato ad altri, ai più giovani, percorrerla».

Una strada che Meloni, con Fratelli d’Italia, ha fatto tutta in salita, dall’1,9% del 2013 fino a sfiorare il 30% di questi giorni. Meloni e Ignazio La Russa? «Avevano ragione loro e avevo torto io», ammette Fini ricordando che l’attuale premier e il presidente del Senato «non mi seguirono quando venni estromesso dal Pdl dando vita alla casa della destra: io non ci credevo. Dicevo: ma dove vanno?». Non è nemmeno tenero con se stesso per la scelta di entrare nel Popolo della Libertà: «un errore imperdonabile. Un errore enorme che non perdono a me stesso» confida all’Annunziata

Fini è un fiume in piena. E gli aneddoti si intrecciano: dall’incontro dell’ultimo segretario post-comunista (D’Alema) con lui, ultimo post-fascista, ai tempi della Bicamerale; dalle parole distensive di Violante presidente della Camera nel '96 che volle fare della Liberazione un momento unitario; fino all’intesa, riservatissima, con cui con Veltroni nel '99 si accordarono per far salire Ciampi al Quirinale. Ma Fini non rifiuta di commentare anche la cronaca del giorno. E che proprio su fascismo e antifascismo ha creato una polemica per le parole di Ignazio La Russa sul 25 aprile: «Il titolo (della Stampa, ndr) è forzato», spiega subito l’ex leader di An. «La Russa non ha detto 'non festeggio questo 25 aprile' ma risponde 'dipende, certo non andrò ai cortei' perché, l’ho sentito anche stamattina, rischierebbe di trovarsi in compagnia di quei giovanotti che in nome dell’antifascismo lo hanno minacciato di morte». Non solo. «La sinistra italiana - avverte - non può accendere l’interruttore dell’antifascismo in modo strumentale" perché se ci chiedono «il riconoscimento dell’antifascismo come un valore, la risposta non può essere che sì, l’abbiamo fatto, a Fiuggi». E Meloni non si è dissociata, ricorda.

Poi poche, ma chiare, pillole di consigli: il primo alla sinistra. «E' sempre tendenzialmente grigia, spero Enrico Letta non si offenda. Gli servirebbe un po' di verve, un po' di anima, una bandiera da alzare che non sia la democrazia che è bandiera di tutti. Torni ad infiammare i cuori». Il secondo a Silvio Berlusconi che ha pure «ha perso lo scettro», che «non è più il dominus», ma che lo ha fatto a vantaggio di «una donna che da quando era ragazzina ha masticato pane e politica». E lui, assicura, «non è un irresponsabile» e i suoi ministri «danno ampia garanzia di continuità nell’azione di governo». Infine alla Meloni, che ha scelto tra l’altro, Eugenia Roccella come ministro, dice che bisogna «andare piano» perché «i diritti civili sono una materia importante e delicata. Lasci che sia il Parlamento ad occuparsene». E sulle mascherine anti-Covid la neo premier segua la scienza «e le lasci obbligatorie negli ospedali».

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