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Dalle Regioni il via libera al testo sull'Autonomia: sblocco in vista per le province

Nel fronte critico si esercita il governatore della Puglia Michele Emiliano, che parla di un dl «inaccettabile nel metodo e nel contenuto», e anche il sindaco di Roma Roberto Gualtier

Le Regioni mettono mano al puzzle intricato dell’Autonomia differenziata e alla fine riescono ad approdare a un primo via libera al dl. Il luogo in cui è maturata la scelta è la Conferenza delle Regioni, dove comunque si è archiviato il "no" critico - annunciato - di Campania, Emilia Romagna, Puglia e Toscana. Si tratta di un primo step, ammettono soddisfatti i governatori di centrodestra.

Attilio Fontana della Lombardia ha spiegato a nome delle Regioni di confidare «che si possa arrivare a una risposta positiva». Ma un granello di sabbia nel meccanismo lo mettono i Comuni, che in un documento accendono un faro sull'individuazione e finanziamento dei Lep.

Il ministro Roberto Calderoli, titolare degli Affari Regionali e padre del provvedimento, guarda al cronoprogramma e dopo l’ok incassato anche in sede di Conferenza Unificata fa sapere di essere pronto per presentare il testo al prossimo Consiglio dei ministri «per la definitiva approvazione».

Sui distinguo di Sindaci e Province il ministro spiega invece che tutte le loro proposte emendative «verranno proposte in pre-Consiglio per una valutazione del loro inserimento nel ddl definitivo». In questo caso il suo ministero dovrà sparigliare perplessità articolate come quelle dell’Anci, che in un documento ha ricordato «il ruolo e il contributo che in tutti questi anni i Comuni italiani hanno offerto in termini di servizi ai territori e alle comunità e soprattutto sul meccanismo di solidarietà e perequazione, già realizzati su scala comunale».

In casa dei governatori del centrodestra regna quindi l'ottimismo: se il veneto Luca Zaia parla di «grande risultato" e dell’avvio di «un percorso di modernità», l’umbra Donatella Tesei rimanda al lavoro da costruire «nei vari dettagli». E Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia), anche in virtù di una visione meno di parte imposta dall’essere presidente della Conferenza delle Regioni, tende la mano ai territori riottosi, augurandosi che «che con il prosieguo del processo che vedrà l'attuazione dell’autonomia differenziata si possa trovare una ricomposizione con le regioni che oggi hanno espresso parere contrario». Cauto il presidente della Calabria Roberto Occhiuto che mette da parte i pregiudizi ideologici «a condizione che si superi la spesa storica e che si garantiscano a tutti i diritti sociali e civili, a prescindere dalla Regione nella quale si vive».

Nel fronte critico si esercita il governatore della Puglia Michele Emiliano, che parla di un dl «inaccettabile nel metodo e nel contenuto», e anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ("dobbiamo garantire ai cittadini italiani gli stessi diritti e gli stessi servizi e quindi occorre cambiare metodo e impostazione"). Tranchant l’ex ministro delle Regioni e oggi senatore dem Francesco Boccia: «Oggi si consuma un ennesimo grave strappo istituzionale che Calderoli tenta di coprire falsificando anche la comunicazione pubblica parlando di approvazione. Non c'è alcuna 'Intesa". Per le Conferenze o c'è l'intesa o non c'è. E su un provvedimento così delicato per la vita del Paese, il governo Meloni ha deciso di andare avanti a testa bassa».

Aria nuova in casa delle Province, dove l’archiviazione della legge 56 (la cosiddetta 'Delriò), con la relativa codifica di ente di secondo livello, pare essere cosa fatta. Oggi i governatori per bocca di Fedriga hanno detto a chiare lettere che «le Province sono indispensabili alla nostra democrazia e al buon governo dei territori», quindi devono essere un’istituzione "ad elezione diretta, alla pari delle altre istituzioni territoriali».

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