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Il governo studia il rinvio volontario della pensione nella Pa: il no di Cgil e Uil. La Cisl: libertà di scelta, niente vincoli

Nei prossimi cinque anni, tra il 2024 e il 2028, nelle pubbliche amministrazioni serviranno 846mila assunzioni per fare fronte alle uscite del personale che invecchia (circa 773mila in uscita entro cinque anni) ma anche per coprire nuovi fabbisogni soprattutto nella sanità e nell’assistenza. Proprio per questo il governo starebbe valutando un intervento ad hoc per mantenere i dipendenti al lavoro su base volontaria, rimandando il pensionamento dopo l'età di vecchiaia di 67 anni. Ipotesi alla quale apre la Cisl, ma che non piace affatto a Cgil e Uil, pronte a sollevare la questione e a chiedere un chiarimento già il 24 settembre, in occasione dell’incontro con l’Aran sul rinnovo del contratto delle funzioni centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici).

In pratica, secondo le previsioni aggiornate del Rapporto Excelsior, saranno necessarie oltre 169mila entrate l’anno per la stragrande maggioranza di persone con una istruzione terziaria. E di fronte alle difficoltà nelle quali si potrebbe trovare l’amministrazione, soprattutto per quanto riguarda l'erogazione dei servizi, il governo starebbe appunto ipotizzando una norma per consentire la permanenza al lavoro dopo i 67 anni in modo sostanzialmente automatico, senza quindi che sia necessaria la richiesta del lavoratore all’amministrazione sul trattenimento in servizio una volta raggiunta la soglia anagrafica. L’amministrazione quindi, con questa ipotesi, non potrebbe respingere la richiesta come può avvenire ora. Chi invece vuole andare in pensione all’età prevista dalla legge potrà continuare a farlo facendo domanda (senza che possa essere respinta), ma l’uscita non sarà più automatica come oggi. La norma secondo quanto anticipato dal Messaggero, potrebbe essere inserita dal governo nella legge di Bilancio oppure in un provvedimento a parte.

Opinioni contrastanti sui piani del governo

Nel pubblico comunque con l’età di vecchiaia escono verso la pensione circa la metà di quelli che vanno in anticipata (prima dell’età di vecchiaia come con le Quote o con 42 anni e 10 mesi di contributi). Nel 2023 le pensioni di vecchiaia nel pubblico decorrenti nell’anno, infatti, sono state circa 28mila a fronte delle circa 57mila anticipate).

L’ipotesi, sottolinea il responsabile delle politiche previdenziali della Cgil, Enzo Cigna, non è accettabile e comunque riguarderebbe pochissime persone e solo con le qualifiche alte. «Anziché trattenere i dipendenti e fare ancora cassa sulle pensioni - dice - bisognerebbe fare nuove assunzioni, la pubblica amministrazione ha bisogno di nuove competenze». Ma anche sulle nuove assunzioni ci sono difficoltà con diversi casi di posti pubblici rifiutati nei mesi scorsi, soprattutto da laureati in discipline scientifiche e tecniche, a favore di occupazioni più dinamiche e meglio retribuite. E c'è il tema delle città del Nord nelle quali il costo della vita è più alto nelle quali il lavoro pubblico non è così appetibile.

«L'idea del governo di allungare su base volontaria l’età di pensionamento dei pubblici dipendenti oltre i 67 anni - sottolinea il leader della Uilpa, Sandro Colombi - è la dimostrazione del completo fallimento delle politiche del personale della P.A. adottate negli ultimi anni. Il 24 abbiamo l'incontro all’Aran sul rinnovo del contratto delle funzioni centrali. Chiederemo lumi».

«Un’iniziativa di questo tipo potrebbe essere utile per non disperdere professionalità ancora in grado di dare un contributo alle istituzioni e al Paese», sostiene invece Ignazio Ganga della Cisl che precisa: «In nessun caso deve essere introdotta una qualche forma di vincolo o di penalizzazione».

Settori e qualifiche richieste nelle nuove assunzioni

Delle 846mila persone che serviranno nella Pubblica amministrazione entro il 2028, 773,600 serviranno per rimpiazzare quelli in uscita mentre 72,900 saranno aggiuntivi per affrontare le nuove esigenze. Nel complesso serviranno 250.600 persone per l'istruzione e i servizi formativi pubblici, 233.900 per la sanità e l’assistenza sociale e 362.000 per i servizi generali e l'assicurazione generale obbligatoria. Il 76,3% (646.000) dovranno avere un’istruzione terziaria, il 4,8% (41.100) un’istruzione liceale e il 18,8% (159.300) una formazione secondaria di tipo tecnico professionale.

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