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Il Pd in Sicilia, sette giorni per trovare la quadra. Barbagallo in pole per il bis

L’assemblea Dem si chiude con un rinvio strategico, per mediare, dopo un confronto aspro. Taruffi: «La linea non viene decisa all’Ars»

Lo strappo non c’è stato. L’area che si riconosce nel segretario Anthony Barbagallo non ha approvato da sola le regole in vista del congresso, come aveva minacciato fino a venerdì notte. Il voto slitta di una settimana e nel frattempo, complice la mediazione romana, proverà a dialogare con le correnti Bonaccini e Orfini alla ricerca di una sintesi difficile da pronosticare. Visto che il partito esce lo stesso lacerato da un confronto aspro, che lascia scorie velenosissime.

Il bilancio dell’assemblea del Partito Democratico è, come sempre, mutevole a seconda dei punti di vista. Le aree a cui si iscrivono i dissidenti hanno ottenuto un rinvio della votazione sul regolamento che esclude le primarie e punta tutto sul voto degli iscritti. Ma l’inviato a Palermo di Elly Schlein, il responsabile organizzativo Igor Taruffi, ha dato copertura al percorso studiato da Barbagallo. Ha sposato la linea dura del segretario siciliano sulle strategie da attuare all’Ars e sulla contestazione del mancato versamento dei contributi al partito da parte di molti deputati.

E così, malgrado attacchi frontali da parte dei dissidenti e anche di big che finora non gli erano stati avversati, Barbagallo resta in pole position per il mandato bis. Forte di un evidente sostegno della segreteria nazionale. Anche se la partita non è finita.

È stata una giornata lunga. Venerdì sera i big delle aree Bonaccini e Orfini - non avendo trovato sponde a Roma sulla proposta di rinviare l’assemblea - avevano annunciato di voler disertare l’incontro nel tentativo di far mancare il numero legale o depotenziare il valore del voto sul regolamento. E in effetti ieri mattina brillavano, fra le altre, le assenze del capogruppo Michele Catanzaro e dei due possibili avversari di Barbagallo al congresso: il deputato regionale Fabio Venezia e l’eurodeputato Giuseppe Lupo. Antonio Rubino invece è andato, con la delega a proporre una mediazione agli uomini della Schlein: ritirare la candidatura di Barbagallo e ripartire insieme su regole e nuovi papabili alla successione. «La nostra azione non è contro la segretaria nazionale», dirà poi dal palco il leader dell’area Orfini.

Gli uomini ostili a Barbagallo hanno mostrato di poter controllare 86 voti su circa 330. Insufficienti per far saltare la riunione. Così molti hanno deciso di andare e, pur non ritirando la delega (dunque risultando formalmente assenti), sono passati a una strategia che prevede l’attacco frontale al segretario. Sotto accusa per aver sposato, assieme a Sergio Lima, l’idea di una denuncia in Procura di irregolarità nel voto della Finanziaria, malgrado i deputati del Pd abbiano collaborato alle norme che assegnano cento milioni di contributi a pioggia. Giovanni Burtone ha chiesto il microfono per spiegare che «con i nostri emendamenti sono state approvate misure a favore di scuola e ospedali, per combattere il crack e la siccità».

Il deputato etneo ha contestato poi a Barbagallo «di aver voluto liste, alle Regionali come alle Europee, di cui abbiamo appreso dai giornali e che hanno portato il Pd alla sconfitta perdendo il 10% rispetto al risultato nazionale». Da qui la richiesta di votare il nuovo segretario nei gazebo con le primarie.
Sono critiche che attraversano anche aree che finora avevano sostenuto Barbagallo. Per Mirello Crisafulli «è un errore clamoroso alimentare una spaccatura fra il partito e il gruppo parlamentare, che invece ha fatto ciò che doveva». Per Antonello Cracolici «il Pd sta diventando un partito identitario senza identità. C’è stata inadeguatezza politica nel gestire il dopo Finanziaria e ciò ha alimentato la conflittualità interna. Ora serve un segretario con la schiena diritta, dignità e autorevolezza».
E tuttavia sia Crisafulli che Cracolici hanno ammesso che dare il voto agli iscritti invece che passare dalle primarie sarebbe la strategia perfetta per il congresso che si svolgerà a marzo.

È il segnale che la partita, al di là dello scontro sulle regole, si giocherà sulle candidature. Ma, almeno in questa fase, la proposta di individuare insieme un altro candidato in grado di avere i voti di tutte le aree (o almeno non l’ostilità dichiarata di alcune) è stata respinta. Taruffi ha ricordato ai deputati che «chi è eletto all’Ars lo è per conto del Pd e con questo deve confrontarsi. La linea non può essere decisa dal gruppo».

Il responsabile organizzativo nazionale ha chiesto a tutti «di confrontarsi su lavoro, sanità, lotta alla mafia» e poi di «riorganizzare il Pd in Sicilia andando oltre lo scontro sulle regole e passando alla fase del congresso che riguarda la politica del Pd. Chi si candida alla segreteria sia il frutto di un ragionamento programmatico sul quale confrontarsi». L’avviso ai naviganti è evidente: lo scontro aperto dai dissidenti non trova sponde a Roma e sulla linea del partito bisognerà misurarsi al congresso con mozioni e candidati. Intanto, a giorni, l’assemblea tornerà a riunirsi per approvare il regolamento che prima passerà da un esame della commissione di garanzia ma alla fine vedrà ugualmente l’elezione del segretario affidata agli iscritti e non ai gazebo.

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