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Tra polemiche e accuse politiche Baglioni apre il suo Sanremo bis

Teresa De Santis e Claudio Baglioni

Premessa. Quando il figlio unico Claudio era bambino, in casa Baglioni si guardava rigorosamente il Festival, si votava per iscritto su un foglietto elettorale, si azzeccava e si toppava. Quindi il direttore artistico lo sa da allora (e lo ripete da sempre) che «le giurie, anche le più competenti, sono fallibili».

Poi c'è pure che «in un'industria discografica poco estesa come quella italiana sarebbe più proprio parlare concettualmente di contiguità, rapporti amicali e filiere virtuose» oltre che di clausole di trasparenza («che pure sono in essere per Baglioni come per i suoi predecessori») e/o conflitto d'interesse. D'altronde, «quando stipuli un contratto con un artista vivente e operante capita, ma Baglioni non ha bisogno di sovvenzioni né di giochi di potere», questo lo sa il direttore di Rai1 De Santis.

Quindi stop ai sospetti di “telecensura degli esclusi” e di “cerchi magici” e a chi in questi giorni ha ipotizzato complotti e strategie (casa discografica e management di Baglioni corrispondono a quelle di vari artisti in gara: una clausola non lo prevede, una deroga a quanto pare sì ma «di questo parli chi può») e via alla conferenza di presentazione del 69. Festival della Canzone Italiana. Con un velo di sospetto, e sarcasmo quanto basta.

Promessa. Invece il Sanremo che sarà, sarà armonia. Ovvero consonanza di voci o di strumenti; combinazione di accordi, cioè di suoni simultanei, che produce un’impressione piacevole all’orecchio e all’animo. Per «collegare, unire, comprimere i contrasti, pacificare gli estremi» come vuole Baglioni in rotta per il suo Concilio Sanremo II. Stavolta in veste di sagrestano, di «servitore del Festival che sta sopra di noi», per curare quella creatura fragile e bullizzata dalle élites classiche che è la forma canzone.

«A forma di testa d'ariete, che sfonda per far entrare tutte le altre musiche». Faticosissimo, ma «come nelle grandi scalate, dopo ti ricordi solo le discese». Parola di Claudio Baglioni. Che dopo un fascio di rose rosse (e «nessun sottinteso») alla De Santis, annuncia un Festival «simile all'anno scorso». Già, perché «sbagliare è umano, perseverare è artistico». Quindi «canzone italiana corrente in mostra e ospiti come inserzionisti, per colmare la quota tradizionale«. Una «messa cantata bene», senza prediche politiche, perché «quando posso parlare di musica, non mi servono altri argomenti».

Parole di Teresa De Santis. Che ha «ereditato questo Festival, ma con gioia». Che ha giurato «sempiterna amicizia» tra direttore e direttore. Che ha sottolineato come si sia «superata di gran lunga la raccolta pubblicitaria dello scorso anno (29mln, tre in più della precedente)». Che ha rivendicato l'impronta baglioniana di «tradizione e frontiera, complessità di testi e temi e l'italianità raccolta per il mondo e riportata a casa».

Qualcuno lo ha definito un festival sovranista (orrenda parola, lontanissima dalla musica): «Certo, è un Festival con una forte identità, rappresenta il punto di arrivo per mille stimoli che raccontano l'italianità di questo Paese che ha una storia di cui deve andare orgoglioso».

Parola a Claudio Bisio, che «il primo bollino Enpals risale al 1980 e in quarant'anni di carriera una cosa così non mi era mai capitata. Sarò me stesso, ma con garbo. La ritualità è sintomo di rispetto per chi lì viene a giocarsi molto e no, non parlerò di migranti, né di Venezuela, né dei nuovi esami di maturità, né di Bolsonaro... e nemmeno della Juve e dei rigori non dati».

E parola a Virginia Raffaele: «Sono stata invitata per fare me stessa ma, nonostante lo scatto da dieci minuti da ospite a venticinque ore da conduttrice, mia mamma è tua (di Baglioni) grande fan mentre mio padre è un fan di Bisio: guarderanno il Festival per voi, mica per me».

I fatti. No cover, no eliminazioni. Confermati ovviamente anche i duetti (venerdì) e le classifiche (al termine di ogni serata). No pure all'overdose di «piccoli grandi amori». L'anno scorso a quanto pare lo avevano chiesto gli ospiti, quest'anno il direttore duetterà sì con loro ma sul loro stesso repertorio o su pezzi di terzi. Eccetto che per tre aperture di serata, in cui Audio Baglioni (come lo chiama Morricone) si porterà all'Ariston un pezzo del suo «vecchio mestiere» (quello momentaneamenteinterrotto «dopo sette no alla Rai perché mi sentivo inadeguato»). Tre «colossal di teatro totale» (coreografie del suo tour, firmate Giuliano Peparini) e una serie di record.

Lumino tecnica da super concerto, la scenografia di Francesca Montinaro come un'onda, le dotazioni di ripresa (12 telecamere, 8 speciali) per la regia di Duccio Forzano. «Ventiquattro amici», ospiti italo internazionali, 263 artisti sul palco più grande di sempre, 55 elementi dell'Orchestra di Sanremo, Prima Festival, Dopo Festival. Buon Festival.

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