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Sanremo, largo ai giovani: vince Mahmood

Claudio Baglioni, Virginia Raffaele, Mahmood, Claudio Bisio

Non ci sono vincitori annunciati. Anzi, il Festival Baglioni bis sconvolge le previsioni: a trionfare è Mahmood, con “Soldi”. Quello che è stato per giorni il vincitore annunciato, Ultimo, è arrivato secondo (e ha vinto il premio Tim Music). Terzi gli artisti de Il Volo. E per la Bertè, solo quarta, una vittoria “del pubblico dell’Ariston” che ha applaudito questa “proclamazione” dopo aver rumoreggiato alla lettura della classifica. Entrambi i premi della Critica (Mia Martini e Lucio Dalla) e anche quello per il miglior testo a Daniele Silvestri. Il “Sergio Endrigo” per la migliore interpretazione e il premio per la miglior composizione musicale a Simone Cristicchi.

La finale. Alla fine c’è che riascoltare gli stessi 24 brani per la quarta volta è servito. Magari qualcuno con un pezzo impegnativo come quello di Arisa è arrivato più tirato di altri. Ma piaccia o meno, ieri sera i cori arrivavano dappertutto. Mentre, tra un “Camminando sotto la pioggia” nell'avanspettacolo e un consuntivo “di questo Festival” ai tempi della Famiglia Addams, con la Giuria d'Onore agli annunci e qualche recap di trop, l'Ariston si è alzato in piedi. Per applaudire il medley di Virginia Raffaele che di tutte le voci che ha dentro ha tirato fuori Patty Pravo, Giusy Ferreri, Fiorella Mannoia e Ornella Vanoni (cit. «domani è un altro giorno... però aggratis mai più»). Per ballare con Eros Ramazzotti e Luis Fonzi. E perdersi nel finale dedicato a Luigi Tenco, quando Elisa «ha fatto commuovere tutti».

Il dirottatore. In paramento bianco, quello della solennità. Per «l'ultima tappa di un viaggio con la polvere sulle spalle e uno scuotimento particolare». Prima della prossima, "E adesso la pubblicità".

I “telecomandanti”. Per Baglioni «una menzione di encomio a Virginia e Claudio presentatori e performatori». Claudio, che le giacche alternative servivano a coprire l'invidia del comico. E Virginia senza la maschera, eppure smontata e rimontata in un tempo piccolissimo. L'unico “fischio” è il suo.

Le canzoni. Più che altro un forte senso generazionale, familiare, di paternità smarrite o distratte, della disperazione di essere figli. C'è stato nello show, nella composizione del cast e nei temi. Diverse da Sanremo, uguali a quelle che si ascoltano fuori da lì. Mediamente più belle che in certe edizioni più liturgiche. «Non è detto che siano tutte capolavori» e forse, col senno del dopo tre serate (la prima, i duetti e la finale) infinite, «avrebbero potuto essere venti». L'esame di una coscienza a posto come ce l'ha Claudio Baglioni.

Gli ospiti. In gara ce n'erano tre dell'anno scorso (cinque, uno è un trio: Nek, Renga e Il Volo), undici duettatori di quest'anno erano concorrenti nel 2018. Per il resto tutti (salvo gli ospiti degli ospiti) nazionali, no francobolli, valevoli per l'espatrio. Italiani nel mondo di una musica che viaggia senza permessi di soggiorno. Il miraggio di Baglioni sarebbe quello di un Festival «senza steccati né ansie da prestazione. Tipo gli Oscar, con tutti lì a dare la più bella rappresentazione della categoria dei musicisti a cui appartengo».

L'orchestra. In una fossa ricavata dietro il palco, riparata dalle distrazioni di sala, in un luogo acustico migliore.

Lo spettacolo. Sanremo non è una trasmissione televisiva, è solo uno spettacolo che va in onda in tv. La Canzone Italiana (art.1 dello Statuto) stavolta gli ha insidiato la scena. «Troppo spettacolo o troppo concorso? Vi giuro che abbiamo fatto il possibile».

Le suggestioni. Nel sentire Andrea Bocelli passare a Matteo la testimonianza che da quel palco “Con te partirò”. Quella “Bella”, bellissima creatura di un Riccardo Cocciante imponente come Notre-Dame. Di viaggiare attraverso i luoghi della voce di Mengoni “L'Essenziale” e con Ligabue verso “Luci d'America”.

Le eccezioni. Tipo Loredana Bertè. La più giovane tra le big. La più autentica, la più sfrontata, emozionata, acclamata (la sola da tre standing ovations del “telemorente” Ariston). La più blu. Come il sangue calabrese che le scorre nelle vene, nobile di spirito e dissacrante tutto intorno. Il traino del successo estivo con Takagi e Ketra l'ha presentata anche a quelli giovani, in linea con il motivo del Festival. C.v.d.

Gli ascolti. Se le percentuali salissero ogni anno, si farebbe quota 100 (%) prima che la Rai appronti le coperture necessarie a trasmettere il segnale di cambiamento. Ci sono stati dei meno, lo sanno i disseminatori di cifre alla zizzania, (r)ancorati alla “ignoranza” che in effetti il suo proprio obiettivo questo 69° Festival lo ha centrato.

Le camere di conciliazione. Un conflitto d'interesse e varie clausole di trasparenza dopo, oltre le migrazioni del buon senso, tra i «mai più politica al festival», dopo praterie di fiori senza sottintesi da Baglioni alla De Santis. C'è addirittura un Baglioni ter su cui sedersi a riflettere.

Le conclusioni. «Un grande affresco che Claudio ha saputo sceneggiare con coralità d'intenti e contributo di tutti» (Teresa De Santis). «La precisione cristallina che fa girare la macchina estremamente complessa del Festival come solo la Rai sa fare» (Claudio Fasulo). «Ma questo chi l'ha votato?» (il pubblico). L'armonia è il punto di arrivo (Baglioni).

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