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Il Sanremo di "Ciuri" e dei fiori, delle sedie vuote e della musica bella e testarda

Il bilancio commosso di un Festival a suo modo esemplare (e che nessuno avrebbe saputo condurre in porto). Amadeus e Fiorello da compagni di scherzi a commilitoni di trincea

La premiazione di sabato notte (fonda)

Domenica mattina, ore 2.30: i Maneskin “Zitti e buoni” vincono il 71esimo Festival di Sanremo. La forza dell’esibizione oltre alla bellezza della canzone. La credibilità nella costruzione, spinta avanti a tutti da un’idea artistica coerente che ne ha illuminato l’intera competizione. Il rock nudo che sboccia sovrano quando il pubblico, crudo, ormai è appassito sul divano.
Ama non m’ama

Un fascio di 26 canzoni, petali da sfogliare. Tanto buon profumo, ma sfumato nel tempo infinito dell’ascolto. Un mazzo di semi che germoglieranno, nonostante qualche ortica in mezzo. C’è la storia del “festival della rinascita”, chiaro, quella narrazione cara a Coletta che Amadeus ci ha raccontato per giustificare una scelta, folle e annunciata. Che poi, al di là dell’emozione dell’aver riabbracciato il palco, è stato realmente un bene per la musica (cantare a notte fonda non si augura a nessuno, neanche a Random)? E questa, per caso, non doveva essere una questione centrale a proposito di “festival della canzone”? Proposta per il prossimo Amadeus: 20 brani e niente Prima Festival. Così uno si nutre, si sazia ma non s’ingozza.

Un mazzolin di voti

La demoscopica, una loggia a campione che nelle sue segrete stanze ha deciso le prime due serate. E ci ha fatto credere che fosse tutto perduto. Il sacrificio di star lì immobili, mossi dal piacere di ascoltare buone cose, la soddisfazione di vedere il vaso di una certa musica finalmente scoperchiato: tutto vanificato da un voto sconfortante e fortunatamente poi smentito. Dalle sale della stampa, che lo hanno riproporzionato. Dal televoto che, al netto dell’appello di Chiara “Ferragnez”, come sempre (com’è giusto) ha rimescolato. E l’orchestra. Ma come mai l’Orchestra non è un affetto stabile, considerato che il suo è un voto affidabile? Ma poi, nel Sanremo più social di tutti i tempi (in una Italia, suo malgrado, mai così digitalizzata), spacchettato su ogni piattaforma, il giudizio “istituzionale”… conta ancora?

Il bouquet dei premi

Ai siciliani Colapesce e Dimartino, arrivati ad un passo dal podio e strapremiati dal primato di passaggi in radio della loro “Musica leggerissima”, il premio Sala stampa Lucio Dalla. Il Sergio Bardotti per il miglior testo alla “Voce” appena raccolta di Madame. Ermal Meta, dopo il riconoscimento (“Caruso” il 4 marzo… un po’ ruffiano) dell’Orchestra nella serata Cover, si è meritato anche il Giancarlo Bigazzi per la migliore composizione musicale. Il premio della critica Mia Martini a Willie Peyote, diretto nel suo “Mai dire mai (La locura)”. Statuette da mostrare, roba da curriculum. Che «Sanremo è una vetrina», ma se ti fermi a guardare e non entri a comprare…

Grazie del Fior

È stato lui, Ciuri, il Fiore all’occhiello. Il carrello necessario, il puntello fondamentale, la terza parete a cui appoggiarsi nel riverbero vuoto di tutto quel velluto rosso. Le restrizioni emotive lo hanno condizionato e un certo intrattenimento gli è stato impedito da un contesto televisivo senza “evento”, rispettoso e limitato. Lui però ha «accarezzato le ferite» (anche le sue), ha dato lustro tra i lustrini, brillando di risate e commozione.

Una rosa trafiggerà il tuo cuore

Nel tunnel d’arte di Achille Lauro, l’ultimo quadro è un “classico”. Il diavolo che veste Gucci e si segna con l’acqua santa. Come nella profezia di Simeone, il petto sanguinante trafitto da rose pungenti come parole. «È giunto il nostro momento, la nostra stessa fine in questa strana fiaba. La più grande storia raccontata mai. Maschere dissimili recitano per il compimento della stessa grande opera. Tragedia e commedia. Essenza ed esistenza. Intesa e incomprensione. Elementi di un’orchestra troppo grande per essere compresa da comuni mortali. È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica solo noi esseri umani».

Commento: «Anche se non all’altezza, l’importante è fare».

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