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Sanremo: le cose utili e le cose inutili di un'edizione che ricorderemo

La giuria demoscopica? Un'entità. L'orchestra? Tutto

Trafitto dalle rose. Achille Lauro. Inutile, anzi indispensabile

Gli sforzi, il coraggio e la fatica che Amadeus e Rosario Fiorello hanno messo per esorcizzare l’horror vacui di uno spettacolo senza pubblico, scandito dagli ostacoli dei protocolli di sicurezza per riuscire a confezionare un Festival giovane e inclusivo, sono encomiabili. Sono stati gli eroi in trincea di un Sanremo che verrà citato negli annali e hanno fatto tutto il possibile per raggiungere un obiettivo che non era nell’exploit degli ascolti, ma nella volontà di entrare nelle nostre case con leggerezza e cercando di non urtare la sensibilità delle persone che sono ancora provate dalle difficoltà di questa pandemia. Per questo non riteniamo giusto stilare classifiche ma, per un bilancio/promemoria, divideremo ciò che abbiamo visto in utile e inutile, in una classificazione personale, ma motivata.

LE COSE INUTILI

Sanremo giovani: a rischio di essere impopolari, ma che senso ha una sezione dedicata alle nuove proposte quando molti cantanti in gara erano praticamente sconosciuti al grande pubblico? Una ghettizzazione che non risponde più alle esigenze della musica del nostro tempo.

Il televoto e la giuria demoscopica: due entità ectoplasmatiche che prendono corpo solo a Sanremo, incontrollabili, e che destano perplessità. Solo col voto degli orchestrali e dei giornalisti abbiamo potuto comprendere il valore delle canzoni. Ma non sarebbe meglio far votare i programmatori delle radio, che poi decidono il successo delle canzoni?

Slatan Ibrahimovic: A ricordarci la tenacia bastava Mihailovic. Quanto al suo predicozzo sui fallimenti e le rinascite, concluso con «Se sbaglia Zlatan puoi sbagliare anche tu», per capire meglio vogliamo vedere i suoi autogol e il suo estratto conto.

Achille Lauro: l’anno scorso i suoi quadri avevano destato stupore e ammirazione estetica. Ma replicare la sorpresa la depotenzia, diventando prevedibile il gioco al rialzo della trasgressione.
La ripetizione dell’esibizione di Renga. Dopo i seri problemi del reparto audio per tutte le serate, l’ortodossia di Amadeus che ha fatto ripetere all’una di notte la canzone ci è sembrata punitiva.

I promo dei programmi Rai: ok, la pubblicità la subiamo, ma alle 2 di notte non siamo disposti a tollerare che sottraggano ancora tempo i promo di Montalbano, Serena Rossi e Leonardo. Basta!

LE COSE UTILI

L’orchestra: mai come quest’anno, l’orchestra era multitasking, suonava, votava, applaudiva e fungeva da pubblico. Indispensabile e funzionale.

L’anatema di Fiorello: se l’anno prossimo, come speriamo con il pubblico in presenza, il festival dovesse andare male, Fiorello potrebbe passare come menagramo. La sua non era una maledizione ma un monito a futura memoria.

Achille Lauro: il messaggio della sofferenza, dell’identità che prescinde dal genere, la forza evocativa dell’immagine trova in Sanremo il suo luogo ideale, per la platea che riesce a raggiungere, per la forza visionaria con la quale si impone.

Un coordinatore di immagine: ci vuole come il pane, per evitare che tutti si vestano da sposa e ci confondano le idee.

I performer. A Sanremo ti devi fare notare, se non per la canzone, per ciò che fai sul palco. Lo aveva capito nel 2020 Achille Lauro, lo hanno messo in pratica nel 2021 Gazzè, La rappresentante di lista, Madame, I Maneskin.

La serata delle cover: ogni anno acquista sempre più forza, anche se in questa edizione non ha realizzato ascolti strabilianti. I duetti, le canzoni, le collaborazioni danno un senso di partecipazione che apre quasi al varietà.

Mina. Non c’era, ma sarebbe stata utile. Invece di cantare, pagata, per lo sponsor, visto il momento storico, avrebbe ben potuto rompere il suo dorato isolamento e apparire, per l’Italia e per compensare il martellamento che abbiamo subito con il suo spot.

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