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Sanremo, Giovanni Allevi travolge l'Ariston. Quando la musica e la bellezza danno un senso alla sofferenza

I riccioli grigi, timidi e vitali. Spuntavano fuori dal cappello, erano incontenibili, sembravano dire del tempo che è passato e di lui che ha resistito. Quando stasera ha conquistato il palco dell'Ariston (dopo due anni di assenza, abbracciato da un applauso lunghissimo) i capelli (persi e ritrovati, come le certezze), quel tratto umano inconfondibile di Allevi, scalpitavano quanto le mani. "Voglio accettare il nuovo Giovanni, com'è liberatorio essere se stessi"... e con quel cappello tolto è andato via tutto. A capo nudo, c'era daccapo lui.

Ecco, le mani. Che la malattia è andata a colpire proprio nella loro capacità di suonare il pianoforte ("all'improvviso mi è crollato tutto. Nel mio ultimo concerto a Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima").

Le mani forti della testa ("in ospedale non avevo lo strumento, ma non è mai stato un problema"). È lì che ha vissuto la melodia del maestro durante le lunghe degenze. Quando le cure gli scorrevano nella braccia, la mente era libera di riempirsi di "musica che dava senso alla sofferenza". Libera di trasformarsi in note su pentagrammi immaginari, su linee infinite (e parallele, come la vita quando si sdoppia, quella del corpo e quella dell'anima) a dispetto di un futuro troppo vicino, che sa più di "presente allargato". Note a margine "della paura per quello che sarà, dell'ansia che le terapie potessero non funzionare, che il mal di schiena potesse prendersi la scena". La sofferenza come "occasione per scoprire una nuova visione del mondo e delle cose e l'arte il modo di trasformare la fragilità umana in forza avvolgente".

Tomorrow, il brano che ha regalato alla sua gente è nato lì, durante quei ricoveri. "Mentre strappavo alla mia fine una manciata di anni".

Il mieloma è una neoplasia cronica, "non si vince mai questa battaglia, non sono qui per festeggiare nulla", aveva detto oggi pomeriggio durante la visita in sala stampa. La sua presenza ha significato "gioia immensa di vivere il presente. Se qualcuno qualche mese fa mi avesse detto che sarei stato qui non ci avrei creduto".

Le composizioni di quei giorni si intrufoleranno piano piano (forte forte) in un tour già tutto sold out. Un giro stretto, ma possibile, necessario. Tanto, anche se tremano, le dita sanno cosa fare, hanno memoria, conoscono i tasti. Lo sanno che dopo ogni nero c'è ancora un altro bianco.

In quei giorni "era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo in un teatro pieno ho notato una poltrona vuota, mi sono sentito mancare. Eppure all'inizio ho fatto concerti davanti a 15 o 20 persone ed ero felicissimo, oggi dopo la malattia non so cosa darei per farlo ancora", ha detto prima di sedersi sullo sgabello di casa sua.

Prima di suonare ha voluto esprimere la "gratitudine nei confronti della bellezza del creato. La riconoscenza nei confronti dei medici, per la ricerca scientifica senza la quale non sarei qui a parlarvi, per il sostegno della mia famiglia, per la forza che ricevo dagli altri pazienti. Per i genitori dei piccoli guerrieri, anime autentiche".

Con due vertebre fratturate e una neuropatia, "Non potendo contare più sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima". E negli staccati di Tomorrow c'era tutta la volontà di riunirsi, nelle esitazioni la tecnica meravigliosa dell'ostinazione, nei raddoppi la forza straordinaria della resilienza.

Fuori stasera persino la nave si è illuminata di tasti. "Che domani per tutti noi ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello".

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