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“Il Web è morto”, dieci anni fa la più grande fake news del… Web

“The Web is dead” (Il web è morto). Con questo titolo categorico  in copertina, nell’agosto del 2010 Wired decretava la fine del World Wide Web “aperto”,  osservando  due decenni dopo la sua nascita, un declino della navigazione “libera” online, ormai rimpiazzata da servizi più semplici e funzionali, come i social network  e le loro app per il mobile (sull’iPhone4, in vendita dal giugno di quell’anno, all’epoca spadroneggiavano Facebook e Twitter).  Secondo Chris Anderson e Michael Wolff, autori dell’articolo, il popolo della Grande Rete era destinato a rinunciare all’uso più discrezionale  dei browser finendo con l’essere “imbrigliato” su internet dentro  “piattaforme semichiuse”, veri recinti nella prateria digitale.

"Il caos delirante del Web aperto – incalzava la rivista americana - è stata una fase adolescenziale sovvenzionata dai giganti dell’industria che si fanno strada alla cieca in un nuovo mondo".

Grafico di Wired del 1990 "tHE WEB IS DEAD"

Apriti cielo! La “notizia” scatenò un putiferio digitale, con una raffica di smentite e rettifiche da ogni parte del globo, a partire da un’analisi  di Rob Beschizza sull’allora semisconosciuto blog Boing Boing, che dimostrava come il Web, in realtà, stesse  crescendo in modo esponenziale.  Contestando il grafico su cui si incentrava l’analisi di Wired (vedi sopra),  Beschizza evidenziò come tra il 2000 e il 2010 l’intero  traffico nella rete fosse  letteralmente esploso, anche se distribuito su nuove e differenti piattaforme (a partire dalla condivisione di file e video).   E nel suo post, poi rilanciato anche dal New York Times, Beschizza lo dimostrò in modo molto chiaro, proponendo un grafico “corretto” (vedi sotto) nel quale non si teneva traccia soltanto della quota percentuale dei flussi di dati online, ma anche dell'utilizzo totale effettivo.

Boing Boing osserva Tra il 1995 e il 2006, la quantità totale di traffico Web è passata da circa 10 terabyte al mese a 1.000.000 di terabyte

Secondo Cisco, fonte utilizzata da Wired per la sua analisi, il traffico Internet totale era passato da circa 1 exabyte a 7 exabyte tra il 2005 e il 2010. E la crescita finora non si è più arrestata.  Secondo le stime dell’Itu (Unione internazionale delle telecomunicazioni) alla fine del 2019 gli utenti di internet hanno raggiunto i 4,1 miliardi. Netcraft rivela inoltre che sono online quasi 1,2 miliardi di siti web (dato aggiornato all’ottobre 2020).

Certo, Wired esagerò stilando il necrologio del Web, ma aveva presagito quella che sarebbe stata la “spartizione” del bottino da parte delle Big Tech, e la nascita di un oligopolio che oggi preoccupa non poco chi ha a cuore  gli equilibri democratici.  Un controllo sistematico di Internet e dei dati raccolti nella Rete a fini commerciali che è andato di pari passo con le ingerenze dei governi e con il diffondersi incontrollabile di fake news.  Un proliferare di  disinformazione spesso “pilotato” dall’alto, come dimostra lo scandalo di Cambridge Analytica (ancora dai contorno poco definiti),  per manipolare l’opinione pubblica e gli orientamenti degli elettori.

Ci si accorge che la difesa dell’essenza “aperta” del Web - come afferma spesso Tim Berners-Lee, il cofondatore del World Wide Web -  è ardua ma fondamentale,  non solo per la rivoluzione digitale, ma per la nostra stessa libertà di parola.

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