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Il nipote "ribelle" Harry saluta Filippo: "Ciao nonno impertinente"

«Grazie nonno, per essere stato te stesso». Ci voleva Harry, il prediletto nipote ribelle di casa Windsor, per far risuonare qualche parola diversa nel coro dei tributi - commossi, sentiti, magari sinceri, eppure uniformi - che il Regno Unito sta intonando in questi giorni alla memoria di Filippo di Edimburgo: 99enne principe consorte della regina Elisabetta, spentosi venerdì a due mesi dal traguardo delle 100 candeline dopo una vita di lealtà assoluta, spesso nell’ombra, verso la moglie e la corona, ma anche di gaffe, di umorismo caustico, d’insofferenza ai canoni della correttezza politica. Quando non delle buone maniere. Sbarcato nella notte nel Regno, di ritorno dall’autoesilio americano per i funerali di sabato prossimo dopo il traumatico strappo dei mesi scorsi dalla Royal Family, il secondogenito di Carlo e Diana - lasciata Meghan incinta a Los Angeles - ci ha messo poco a strappare la scena al fratello maggiore William nel giorno dedicato agli omaggi dei nipoti in onore di Filippo, dopo lo spazio riservato fino a ieri dal protocollo ai figli. Chiuso nella residenza di Frogmore Cottage, dove si sottoporrà ai test anti-Covid e resterà in isolamento fino alle esequie nel rispetto delle norme sanitarie in vigore che gli consentono solo un accorciamento parziale della quarantena per ragioni "compassionevoli", il principe dalla chioma rossa ha affidato i suoi sentimenti al meno rituale di tutti i messaggi partoriti finora dalla dinastia.

«E' stato mio nonno: maestro di barbecue, battutista leggendario e impertinente giusto fino alla fine», ha scritto, ringraziando «grandpa» Philip per la «dedizione alla granny», assicurata come «una roccia» per 73 anni, per il suo senso «del dovere e dell’onore», ma anche e soprattutto per il suo «forte» - qualcuno direbbe ruvido - «senso dell’umorismo": per essere stato appunto «se stesso» fino all’ultimo respiro. Una rivendicazione del valore dell’individualità, oltre l'istituzione, che altri familiari - a iniziare dall’erede al trono Carlo, chiamato anche oggi a rivestire i panni dell’araldo ufficiale delle commemorazioni - si sono limitati a sfiorare. E che sembra voler quasi sottolineare l’altra faccia della medaglia dell’eredità dello scomparso, accanto a quella più istituzionale evocata inevitabilmente da William, futuro re: tutto centrato - sotto la foto pur tenera scattata da Kate nel 2015 di Filippo alle redini di un calesse con al fianco in piccolo bisnipote George - sull'elogio del «servizio» reso dal duca di Edimburgo alla regina, al Paese, alle forze armate, sulla sua immagine di veterano della Seconda Guerra Mondiale, sul suo essere simbolo di «una generazione» combattente: nel nome di un impegno che il duca di Cambridge, in attesa dello scettro, si ripromette di portare avanti a tutela della monarchia, «come lui avrebbe voluto».

Due aspetti di una figura che del resto anche le assemblee parlamentari del Regno - da quelle di Westminster a quelle locali di Edimburgo, Cardiff o Belfast - non hanno mancato di riecheggiare nelle sedute straordinarie di omaggio al consorte di Sua Maestà, condiviso oggi al di là dei colori politici da esponenti di tutti i partiti, conservatori o laburisti, indipendentisti o unionisti. In un clima nel quale il tono ai limiti del culto della personalità verso l’uomo a cui lo speaker della Camera dei Comuni, Lyndsay Hoyle, vecchio militante socialista del Labour, non ha esitato addirittura a riconoscere il titolo altisonante di «padre della nazione», ha trovato un freno solo in qualche scampolo di britannico "sense of humor". E dove a indossare un po' i panni di Harry è stato Boris Johnson: con i suoi richiami «sopra ogni altra cosa» allo «spirito pratico» di Filippo, al suo contributo all’adattamento della monarchia» al 20esimo e al 21esimo secolo». Ma pure alle sue scivolate verbali (non diverse da quelle ricorrenti dello stesso premier Tory) andate «occasionalmente oltre i recinti del protocollo diplomatico più raffinato», nel giro di parole di BoJo. A cui non è parso vero sfidare gli imbarazzi della Camera fino a ricordare, tra le battute eccentriche di «Sua Altezza Reale il Duca», anche il dubbio merito d’aver coniato un crudo neologismo per prendersi gioco di certi comportamenti ai suoi occhi troppo autoreferenziali: «dontopedalogy, ossia l’arte d’infilarsi un piede in bocca».

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