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La Polizia ricorda la strage di via Fani: così Raffaele Iozzino rispose al fuoco dei terroristi

La Polizia di Stato, con un post sui social, ricorda oggi Raffaele Iozzino, agente di scorta di Aldo Moro, ucciso il 16 marzo 1978 insieme ad altri quattro poliziotti nell'agguato di via Fani, conclusosi con il rapimento del presidente della Dc.

"Erano circa le 9:00, quel mattino del 16 marzo 1978 - si legge nel post - quando un gruppo di brigatisti fece fuoco, in via Fani a Roma, contro le auto su cui viaggiavano l’onorevole Aldo Moro, i due carabinieri Domenico Ricci e Oreste Leonardi, e i poliziotti della scorta Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.

Iozzino fu l’unico in grado di rispondere al fuoco dei terroristi, che lo uccisero sparandogli alle spalle. Aveva 25 anni e fu insignito della Medaglia d’oro al Valor civile. "Ho acceso la televisione e vidi un corpo a terra con un lenzuolo bianco sopra. Era Raffaele. A quel punto decisi di spegnere" ricorda Vincenzo, fratello di Iozzino. “Era un ragazzo sempre disponibile. Non posso dimenticare i suoi occhi ancora aperti dopo l’uccisione. È come se fosse sempre presente”. Queste le parole di Ciro, fratello di Raffaele. La sua presenza è viva, soprattutto a Casola, in provincia di Napoli, sua città natale. Qui una piazza ed una scuola sono intitolate alla sua memoria e la sua storia è d’esempio per tanti ragazzi che sognano una vita ispirata dai valori di legalità, giustizia e democrazia. Gli stessi che Raffaele ha difeso fino all’estremo sacrificio".
"Componente di scorta automontata per il servizio di sicurezza ad eminente personalità politica - queste le motivazioni del conferimento della Medaglia d'oro al valor civile (alla memoria) - assolveva al proprio compito con sprezzo del pericolo e profonda abnegazione. Durante proditoria aggressione perpetrata, con estrema efferatezza, da un gruppo di terroristi veniva trucidato da numerosi colpi d’arma da fuoco mentre, con responsabile e coraggioso impegno, svolgeva la propria missione, sacrificando così la vita ai più nobili ideali di grande coraggio ed altissimo senso del dovere.

Luca Moro: abbraccio chi come me prova ancora dolore

«In questo tragico giorno in cui si celebra l’anniversario del sacrificio estremo degli agenti della scorta di mio nonno Aldo Moro - il cui rapimento e il successivo omicidio rappresentano, a mio avviso, la 'morte politicà di questo Paese e purtroppo, in maniera collaterale, hanno determinato irrimediabilmente la fine della mia vita - vorrei ricordare l’impegno di mia madre Maria Fida che ha dedicato, sacrificandola, la propria esistenza per tramandare la memoria della vita di suo padre, tenendo vivi gli insegnamenti e la sua luminosa bontà, raccontando alle generazioni future, agli 'uomini dell’avvenirè, la vita straordinaria di un uomo universale, portatore di un messaggio di amore e pace». Così Luca Moro, nipote del presidente della Democrazia Cristiana rapito e assassinato dalle Brigate Rosse, a poche ore dalla ricorrenza dell’agguato di via Fani il 16 marzo del 1978, nella quale persero la vita gli agenti della scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. «Ricordo con affetto, stima e gratitudine l’associazione nazionale italiana per le vittime del terrorismo in ragione dell’impegno di mia madre - prosegue Luca Moro -. Abbraccio coloro i quali in questo giorno, come me, continuano a provare dolore e lascio riecheggiare ancora una volta le parole di Maria Fida, "Vivere nei cuori che restano non è morire"».

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