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Autismo: quella "passeggiata" coatta un'amara sconfitta, PizzAut a Domenica In un’emozionante vittoria

Nella Giornata internazionale sulla consapevolezza dell’autismo del 2 aprile due casi opposti su cui riflettere: l’esclusione del ragazzo allontanato dalla preside di un istituto di Afragola durante una conferenza e l'intervento su Rai 1 di Nico Acampora con il suo dream team e con Franco e Andrea Antonello: ecco come imparare ad adattarsi al "primato" della disabilità

«Ho un dolore dentro. Me lo hanno cacciato come un cane che abbaiava». Nei giorni in cui i riflettori sono accesi sull’autismo, e tutto diventa “blu” per invitare all’inclusione e ad una maggiore consapevolezza su questa condizione di pervasiva, abissale neurodiversità, le parole di una mamma riescono appena a misurare lo sconcerto che in chiunque scatena l’episodio, registrato in un video rimbalzato sul web, avvenuto in una scuola di Afragola in cui l’“esclusione” sociale, culturale e fisica, delle persone con disabilità ha trovato la sua sintesi plastica: «Eccolo là. Prof per piacere prendete quel ragazzo e portatelo in classe» ha detto al microfono, nel bel mezzo degli interventi rivolgendosi all’insegnante di sostegno, la preside dell’Istituto, che non ha trovato soluzione migliore per interrompere il “disturbo” procurato alla conferenza sul bullismo dal comportamento del ragazzo. Che, come molte persone con autismo, probabilmente emetteva le sue innocenti ecolalie, vocalizzi spesso non contestualizzati ma con importante funzione espressiva, legati alle stereotipie tipiche di questa patologia del neurosviluppo. Comportandosi esattamente come da manuale, in maniera divergente rispetto a tante convenzioni sociali tra cui, per l'appunto, quella di seguire in perfetto silenzio una conferenza.

I “calzini spaiati”, l’innocente poesia e la dura realtà

Certo, a scuola è molto più facile divertirsi una mattina uscendo di casa con i calzini spaiati, e fotografare i piedini colorati per dire che “siamo tutti diversi” o che la “diversità è normalità”. È semplice enunciare buoni propositi, e parlare di malattie senza saperne granché, specie quando si è animati dalla buona volontà e dedizione che pervadono il grande universo scolastico. Ma quando la realtà ti catapulta in una situazione veramente “diversa”, difficile, imbarazzante, come per l'appunto un bambino che urla, o parla quando non è il momento, o "disturba", ad una conferenza, al cinema, in hotel, al ristorante, o in chiesa durante la messa o il catechismo, o diventa difficile da seguire alla recita o in gita, allora sorge un bel problema. E quando non ci sono i giusti strumenti di gestione allora può succedere quello che è successo ad Afragola, o in tutti quei luoghi nei quali non si è saputa trovare una soluzione diversa dall'esclusione. In cui non si è ancora raggiunto il giusto grado di comprensione nell'accettare comportamenti "diversi" da ciò che le convenzioni sociali richiederebbero.

I cinema dove le fragilità sono in prima fila

Mutuando un luminoso esempio dal cinema autism friendly screening (sperimentato con successo a Messina, con condizioni favorevoli per una moltitudine di fragilità e bisogni, non solo l’autismo) bisognerebbe comprendere che “inclusione” non significa coartare una persona dentro un gruppo e uniformarla indistintamente all’altrui trattamento, e che per parlare di “accoglienza” il primo passo è adattare il mondo “normodotato” alla disabilità - non il contrario - mentre il secondo passo è di adattarsi il più possibile a quel mondo “adattato”, anche se non si ha una disabilità.

Su Rai Uno in diretta l’imprevedibile bellezza dell’imperfezione

Un altro emozionante, straordinario esempio di “adattamento” generale lo si è vissuto domenica scorsa, durante l’intervento su Rai Uno di Nico Acampora con il dream team di PizzAut, l’associazione nata dal sogno di un padre che voleva dare un futuro, e un presente, diverso a suo figlio e tanti altri ragazzi e ragazze come lui. Mezz’ora di pura umanità, lacrime ricacciate indietro, volti sinceri, bellezza autentica che da dentro traboccava incontenibile scardinando tutti gli standard della patinata e spesso vuota estetica televisiva, nel salotto della grandissima Mara Venier che – assieme al suo sapiente staff tecnico, abituato a gestire il “bello della diretta” - con semplicità e umanità ha saputo fronteggiare tutti gli imprevisti e tutte le “intemperanze”, scalettate e non, del gruppo di ragazzi e ragazze che hanno avuto l’onore di un supporter d’eccezione, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dopo essere stato l’ospite d’onore all’inaugurazione del ristorante di Monza il 2 aprile dello scorso anno, li ha citati persino nel messaggio di fine anno, come esempio di cittadinanza responsabile che consente il pieno rispetto dell’articolo 1 della Costituzione. Perché “L’Italia è una Repubblica fondata anche sul nostro lavoro”, come ama ripetere Nico il sognatore, padre di un ragazzo autistico, con la brigata di cucina che ha una lista d’attesa di due mesi nei due ristoranti (Monza e Cassina de’ Pecchi) in cui è “Vietato calpestare i sogni”, alla faccia di chi diceva a Nico “sei più handicappato dei tuoi ragazzi”. Ed eccoli: Leonardo, che è tornato a vivere dopo il centro in cui “moriva ogni giorno”, e che in diretta tv ha stretto mani, abbracciato, baciato e pure dato serenamente le spalle alla telecamera; Letizia, che ha regalato a Mara Venier un bracciale e una collana da lei realizzate, e che ogni sera prende le comande del ristorante, dove era arrivata senza essere capace di scrivere; e Matteo, il genio dell’impasto lievitato che è si esibito nella sua maestria da trecento pizze a sera. Con loro Franco Antonello e il figlio Andrea che, con i loro Bambini delle Fate, promuovono la sensibilizzazione come ragione di vita e sostengono PizzAut. “Non è la cura dell’autismo, ma serve per capire che si può fare”, ha ricordato realisticamente Franco, commentando l’esibizione a Ballando con le Stelle di Andrea, che alla grande ha retto allo stress delle telecamere di Rai Uno, abbracciando e baciando papà - che lo “conteneva” con le mani e con le gambe - interrompendolo mentre parlava, spostandosi dall’inquadratura, e così via, di imprevisto in imprevisto… Senza che nessuno venisse messo all’angolo, o “cacciato”: questo è l’autismo, con la sua commovente, autentica, imprevedibile bellezza dell’imperfezione.

L’inclusione è far partecipare ciascuno a suo modo

In tema di "diversità" c'è una grande verità da realizzare: non tutto è per chiunque allo stesso modo. La vera inclusione non è mescolare, non è far finta che la disabilità non esista, non è chiedere ad una persona con difficoltà ciò che non può fare o pretendere che faccia ciò che fanno le altre persone, soprattutto quando è chiaro che non potrà mai riuscirci. È il “primato” della disabilità: non deve essere “modellata” sul resto, ma il contrario. E, come sempre, il posto giusto è quello che sta in mezzo, dove più facilmente ci si può incontrare. Tornando ad Afragola: è sacrosanto fare partecipare chiunque, con o senza disabilità, ad una conferenza, e non importa se la condizione intellettiva non consente di recepirne i contenuti allo stesso modo. Ma se una persona, con o senza autismo, non è a suo agio, allora non c'è nulla di sbagliato nell’uscire a fare una passeggiata, per rasserenarsi, cambiare aria, distaccarsi temporaneamente dalle fonti di disagio, e poi provare - e non sempre con successo - a rientrare, come capita sovente di fare a famiglie, terapiste, insegnanti di sostegno. Quindi in sè la “passeggiata” non ha nulla di criticabile, anzi, è uno dei possibili strumenti di gestione dei comportamenti problema. Il punto, invece, è l'antefatto, l'allontanamento dalla comunità, che è suonata come una chiara sconfitta, per chi l'ha richiesta, per chi l'ha eseguita, per chi non si è opposto, per un sistema scolastico al quale si chiede di tutto e di più, ma senza poi fornirne gli strumenti innanzitutto emotivi.

Cercare la strada giusta verso il cuore e la mente

Immenso è il dolore di una mamma che sente di aver affidato un essere così fragile e totalmente indifeso ad un contesto che sembra non aver saputo prendersene cura. Il dolore di questa mamma, e di quelle cui viene detto che la figlia sulla sedia a rotelle non può andare in gita o che il figlio autistico non può fare la recita, o che “non vale la pena” di insistere troppo nelle spiegazioni didattiche, perché “tanto non le capisce”. E invece vale sempre la pena. Di cercare il modo, di trovare la strada giusta, quella che arriva al cuore e alla mente, ovunque si trovino, anche se il percorso è oltremodo accidentato.

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