L’Iran moltiplica le linee del fronte, impegnato con missili e droni contro le minacce esterne e una durissima repressione dentro i confini nazionali. Sui social è apparso l’hashtag 'guerra alle donnè: tre parole per dire che la violenta stretta per chi non indossa il velo in pubblico ha oltrepassato il limite dei precetti islamici, aprendo un conflitto contro metà della popolazione. La premio Nobel per la Pace 2023, l’attivista Narges Mohammadi, dal carcere di Evin dove è detenuta per le sue battaglie in favore dei diritti umani è riuscita a diffondere un audio in cui dichiara che la Repubblica islamica è in «guerra totale contro le donne».
E ha invitato l’intero Paese a sollevarsi. La decisione di prendere misure ancor più stringenti contro le donne che violano la legge sull'hijab è stata annunciata dal capo della polizia di Teheran Abbasali Mohammadian il 13 aprile, lo stesso giorno in cui l’Iran ha lanciato il suo primo attacco diretto contro Israele. Per gli analisti le coincidenze non c'entrano: la nuova ondata di repressione ha a che fare con il fuoco che cova sotto la cenere.
Le ampie proteste scatenate nel Paese nel settembre del 2022 dalla morte della 22enne Mahsa Amini mentre era sotto la custodia della polizia morale sono state brutalmente represse. Ora la minaccia di una guerra con Israele ha non solo spaventato la popolazione, ma pure ridato fiato al dissenso: con i social invasi, fin dai primi lanci di droni dalle basi iraniane, di post che appoggiavano apertamente lo Stato ebraico. E di condanna per le autorità di Teheran.
Da dieci giorni sui social vengono postati i video di una forte presenza della polizia morale nelle strade delle città, immagini di retate di donne arrestate perché «vestono in modo illegale». Molte le segnalazioni di estorsioni e abusi della polizia.
Il media indipendente Iran International riporta casi di giovani che hanno subito aggressioni fisiche e molestie sessuali da parte degli agenti. Una di loro ha raccontato che la polizia ha costretto lei e tante altre a pagare 100 milioni di rial (153 dollari) sotto la minaccia di arresto. In un altro caso, dopo aver ammanettato una donna, un ufficiale di polizia le ha chiesto di «depositare 120 milioni di rial» (184 dollari) su un conto per essere rilasciata.
Narges Mohammadi dal peggiore carcere dell’Iran ha chiesto alle iraniane che sono state arrestate, picchiate, abusate sessualmente dalle autorità di condividere le loro storie sulla sua pagina Instagram: «Mostriamo la misoginia del governo e abbattiamolo», ha esortato.
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