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Morto a Palermo don Ribaudo. Chiese ai mafiosi di convertirsi

E’ morto a 80 anni don Giacomo Ribaudo, per decenni parroco della Magione, nel cuore antico di Palermo, e poi ai Decollati, nel difficile quartiere della Guadagna. Era sacerdote da circa sessanta anni, non esattamente un prete da sacrestia e non poteva esserlo del resto, considerato il suo percorso, soprattutto la sua storia alla Magione, dentro un territorio dalle grandi contraddizioni, dove ha prosperato una mafia antica e brutale, ma anche il germe dell’antimafia dei fatti e dei palazzi di giustizia che, pur tra veleni, assestava colpi memorabili ai clan.

In queste strade, infatti, si sono conosciuti da ragazzini Paolo Borsellino, figlio del farmacista di via Vetreria, e Giovanni Falcone, che abitava a due passi. E Ribaudo, esperto di teologia e di Sacra Scrittura, metteva insieme legalità e impegno sociale, riservando parole nette sia alla mafia sia alle istituzioni spesso assenti. In una intervista di qualche anno fa a Famiglia cristiana spiegò che non gli piaceva essere chiamato «prete antimafia».

Le etichette isolano e banalizzano, sosteneva questo sacerdote dal sorriso sornione e accogliente, un fisico da buon parroco di campagna, ma dalle convinzioni solide e che sapeva essere netto e fortemente determinato.

Nel 1993 chiese ai mafiosi di convertirsi e disse una volta che i mafiosi gli avrebbero confidato l’intenzione di Bernardo Provenzano di dissociarsi, scelta che non fece in realtà mai. In ogni caso niente sconti, a nessuno: «Di fronte al fenomeno mafioso - ammoniva il presbitero in quella intervista - i parroci non devono esitare a denunciare con forza anche le connivenze politiche e istituzionali». Sapeva che battaglie e impegno dovevano essere a 360 gradi: «Il nostro ruolo è culturale e sociale, mentre i compiti di repressione spettano allo Stato. Noi dobbiamo annunciare il Vangelo e difendere i deboli, promuovere la giustizia e la solidarietà, contro ogni forma di prepotenza e di prevaricazione».

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