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Sinner si arrende in finale: il polacco Hurkacz vince 2-0. Ma il campione... arriverà

Jannik Sinner

Per chi è cresciuto "a pane e Panatta", per chi è passato dalla "profezia dell'armadillo" allo schianto violento di un diritto o una curva ipertoppata al carbonio, per chi ha patito la sconfitta in quattro finali Davis, una delle quali rubate nell'allora Cecoslovacchia e un'altra sfuggita per un nonnulla in Australia; per chi si è aggrappato, nell'ordine, all'estetica di McEnroe, alla potente eleganza di Becker, alla dolce perfezione di Sampras, alla magnificenza di Federer, alla letteratura di David Foster Wallace: ebbene, a tutti costoro, italiani "malati" di tennis, all'asciutto da 45 anni (!), comunichiamo che avremo un campione.

Il predestinato

Jannik Sinner, altoatesino di neanche 20 anni, dalla potenza devastante, cresciuto alla corte di quel mago che risponde al nome di Riccardo Piatti, a un passo dal vincere il master 1000 di Miami, uno degli otto tornei più prestigiosi al mondo, piegato più che da un carneade polacco, Hubert Hurkacz, di discreto talento condito dalla fame di arrivare in alto, dai timori della prima volta. Un tremore di gambe e braccia. Ma non è questo il punto. Il focus è un altro: abbiamo un tennista forte di testa e di colpi, moderno, potente e ragionatore, con importanti margini di crescita, predestinato secondo i più, ma non è detto nel tennis moderno. Per cui c'è, ma dovrà ancora lavorare. Ma c'è, eccome.
È un italiano al vertice, giovane. Rompe un digiuno di mezzo secolo, durante il quale abbiamo dovuto registrare la straripanza di spagnoli, lo sdoganamento di giocatori provenienti dall'Europa dell'Est, l'avanzata in massa di francesi e argentini, mentre noi ci aggrappavamo agli acuti di Omar Camporese e Paolo Canè, alle modeste navigazioni di Renzo Furlan e Andrea Gaudenzi: tennisti che meritano il massimo rispetto ma che non potevano mettere una coperta sul cuore, bloccare le vite e le discoteche agganciandoci a un televisore come hanno saputo fare Pietro Mennea e Alberto Tomba, Federica Pellegrini e le Nazionali di Bearzot e Lippi, la squadra di Davis di Pietrangeli nelle notti australiane contro Dent e Newcombe.
Jannik Sinner è fuoriclasse vero: postmoderno e ancora incompleto, che capirà nel tempo che un palleggio può anche non durare trenta scambi e può essere chiuso con una volée prendendo campo e risparmiando energie. Dietro di lui una schiera di italici in crescita, 10 giocatori nei primi cento della classifica mondiale, un altro straordinario talento in rampa di decollo, il diciannovenne Lorenzo Musetti, e Matteo Berrettini, che ha ventiquattro anni, saldamente nei "top 20".

La rinascita

Insomma, il tennis italiano si è destato, sono serviti decenni di lavoro federale, invero straordinario e a firma Binaghi, per non perdere per strada talenti e costruire carriere. Certo, poi il campione assoluto e sontuoso te lo regala natura, ma devi essere in grado di realizzare un campo vasto e competente, e di ararlo. Sinner, al di là di Miami e dei tue titoli già in carniere, ci farà divertire nella versione 2.0 di uno sport che è molto cambiato, ma sempre in grado regalare flussi di emozione e di orgoglio. Ma che mai potrà prescindere dalla "profezia dell'armadillo"... pof, sciabola e fioretta, carezza in chop e accelerazione in spin.
Resta da chiedersi perché non si registri mai una espressione del Sud nell'assunzione dei livelli più alti, sebbene alle nostre latitudini si possa giocare dodici mesi l'anno all'aperto. Non mancano i talenti, ma l'anelito alla fatica. E così esultiamo per l'esplosione di un altoatesino, dalle timorose venature meridionali. Benvenuto nel mondo dei "malati di tennis" in crisi di astinenza, dove anche la sconfitta è solo un passaggio verso il paradiso.

La partita (7-6, 6-4)

E poco conta che ieri - come detto - l'azzurro sia stato sconfitto nella finale del Master 1000 di Miami. Dopo un primo set altalenante sfumato al tiebreak, Sinner è andato subito sotto nel secondo set sino al 4-1; poi la rimonta fino al 4-3 prima di capitolare 6-4.

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