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Sui Monti Peloritani, in simbiosi tra uomo e natura, batte il cuore per la vita

La vicenda del runner ucciso nei boschi di Caldes, in Val di Sole, ha acceso con veemenza il dibattito sul rapporto tra uomo e natura, dividendo tra chi sostiene sia l’essere umano ad avere troppo issato i livelli di invadenza e chi invece pensa che vadano messi dei “recinti” alla pericolosità di parte del “creato”. Toni aspri, talvolta anche carichi di rabbia nel conflitto venutosi a creare e nel discutere del futuro dell’Orso JJ4. Ritagli strumentali lontani anni luce da quanto abbiamo avuto modo di vedere, ammirare e ora raccontare in un luogo come il Centro di recupero della fauna selvatica che sorge sui Monti Peloritani. Laddove uomo, animali e flora si mostrano in simbiosi, “complici” come in “origine”.

Gli operatori vivono questa professione come missione, lo si legge proprio negli occhi di chi si batte affinché, al di là delle specie e delle peculiarità, tutto possa ruotare ed essere secondo la forza e le leggi degli esseri viventi. Un’oasi di libertà ma anche di cura. Di preparazione e attenzioni. Dove ogni tassello s’incastra anche se fra le difficoltà. Tra le ferite fisiche e le speranze di vita che altrimenti sarebbero esistenzialmente negate. Il soccorso, preparato e accudente, rispetta le direttive cliniche e le stagioni biologiche. Negli spazi allestiti, chiusi o all’aperto, il lungo percorso di costruzione di una realtà che tra limiti di spazi e limitazioni finanziarie si è ritrovata un varco enorme nel proprio territorio di riferimento.

Tra le voliere in cui ci si prepara a spiccare nuovamente il volo dopo il periodo ai “box”, i “cassetti” sicuri che ospita un numero di ricci sempre maggiore, la dolcezza delle volpi e il sole sul quale si specchiano le tartarughe dopo il letargo, emerge tutta la grandezza della convivenza possibile, di un universo in cui la “specie” spesso usurpatrice si mette a servizio di chi rischia di non farcela o ha bisogno di accoglienza, anche solo provvisoria.
Un pianeta nel pianeta, simbolo di complicità e rispetto. E spiazza, ma piacevolmente, ancora di più che sia a Messina, dove spesso ci si perde nella litania del “non c’è niente” ed invece emergono eccellenze. Anche laddove le risorse sono magari carenti e i tagli sempre maggiori, ma ci si rimbocca le maniche per continuare a far battere il cuore dell’esistenza.

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