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Dicono che non sono italiano, ma per fortuna (o purtroppo) lo sono. Jannik Sinner e la rivoluzione necessaria

Sindacare. Sindacare su tutto. L'Italia è il Paese del dibattito sin dal Basso Medioevo, quando c'era da prendere posto nella fazione dei guelfi o in quella dei ghibellini. Non c'è via di mezzo, anche nelle vicende belle. E così il fenomeno (sia in senso lato che in senso stretto) Jannik Sinner è diventato l'ennesimo “terreno di confronto” tra chi sta da una parte e da chi dice il contrario trovandosi dall'altra. No, stavolta la discussione non è squisitamente tecnica (seppur l'Italia sia un Paese di navigatori, di santi, guelfi-ghibellini e... allenatori), ma è incentrata sulle origini del tennista nato a San Candido, in provincia di Bolzano. Una vicinanza troppo sospetta all'Austria e alla Svizzera agli occhi di chi per professione “sindaca”. E che stavolta si è dovuto impegnare anche un po' perché il colore bianchissimo della pelle, così, a primo acchito, non offre assist di altro genere ai cultori della razza (ebbene sì, ancora ne esistono e condividono la stessa aria che respiriamo noi). Quelli che, per intenderci: “Balotelli non è italianissimo, Paola Egonu ha origini di un altro Paese, etc. etc.”. Quelli che, da “casi” del genere, sono disturbati come se fossero infastiditi da un prurito.

“E però, anche lui... non accettare la convocazione in Nazionale!”. Perbacco. Che affronto! Che onta da “lavare” con lo scetticismo!  Perché è più facile ingrossare la schiera dei bastian contrari che approfondire. Il gran rifiuto - non troppo lontano nel tempo, ma alla vigilia del turno precedente di Coppa Davis - non è dovuto affatto a una sua avversione per i colori italiani (della sua Nazione, quindi) né a una botta di nostalgia esterofila (sarà più vicino a Ginevra che a Roma, ma fino a rivisitazioni fantasiose dei confini dello Stivale, casa sua è la stessa di Totti, Leopardi, Pippo Baudo e Panatta). Anche perché il “no, grazie” di qualche settimana fa alla Davis ha una motivazione ben più profonda, ma difficilmente accettabile per gli amanti della dietrologia, quindi da scartare a priori: Jannik Sinner (si fosse chiamato Gianni Sinneri staremmo qui a parlare d'altro) aveva bisogno di rifiatare dopo una stagione delirante in termine di sforzi fisici. Ad altri Azzurri - si veda Matteo Berrettini - l'eccesso di generosità (che, sia chiaro, non è meno meritevole di lode, anzi...) è costato carissimo (infortuni su infortuni). A giudicare dall'esito del programma scelto da Sinner, ovvero finale del Master di fine anno e finale (per ora...) di Coppa Davis (raggiunta da assoluta protagonista), probabilmente ha avuto ragione lui. Si è gestito bene. E se anche egli stesso, per un solo secondo, in carriera, non si sia sentito pienamente italiano (a furia di sentirsi dire certe cose, alla fine ci si crede pure) l'effetto Davis avrà completato la trasmutazione tennistica. Perché gli italiani per fortuna sanno fare anche questo.

 

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