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Moda sul piccolo schermo, ma stavolta "il diavolo veste...made in Italy"

Ninni Bruschetta: l'attore messinese nella fiction interpreta papà Pasquale

E’ facile vincere portando come argomento a piacere la moda italiana, più complicato è resistere per otto puntate con una trama che saltella qua e là. Il riferimento è per “Made in Italy”, la fiction che vuole raccontare la nascita della moda italiana d’autore negli anni 70, mercoledì su Canale 5. Il bello, infatti, c’è, ed è nella narrazione degli esordi di quanti con la loro creatività, in un momento di grande fermento politico e culturale, sono riusciti a reinterpretare in chiave contemporanea il gusto e l’eleganza. E il bello è anche che molti dei grandi stilisti citati nella fiction, Armani, Krizia, Missoni, Albini, Curiel, hanno messo a disposizione le loro creazioni e, quindi, si respira autenticità nella rappresentazione di un’epoca in cui a poco a poco il fashion style italiano è diventato un esempio nel mondo.

Una cura dell’ambientazione che è ben riprodotta negli arredi e che si nota anche in alcune impercettibili sfumature che danno la misura dell’attenzione alla narrazione del passato, anche attraverso abitudini oggi incomprensibili, una fra tutte quella di Pasquale, padre della protagonista, impersonato dall’attore messinese Ninni Bruschetta, che scopre la propria auto ricoperta da un telone per ripararla dalle intemperie. Il fatto poi che come interprete principale sia stata scelta Greta Ferro, volto di alcune campagne pubblicitarie di Armani, e che la stessa non sfiguri affatto nel ruolo di Irene, contribuisce a dare una identità ad un prodotto che prende l’avvio con tante, troppe, analogie con una celebre pellicola.

Sin dalle prime battute, infatti, su “Made in Italy” pesa il confronto con “Il diavolo veste Prada”, quasi fosse una parodia taroccata. Identica la scelta di ambientare la storia nell’ambito di un giornale di moda, così come alcune figure che si agitano nella redazione; uguale il prototipo della giornalista mentore di Irene, qui impersonata da Margherita Buy, che ha una pettinatura simile a quella di Meryl Streep nel film; imitate e/o citate alcune battute e scene.

Con un carico così, insomma, il fatto che per collocare temporalmente la fiction si facesse ricorso alla documentazione autentica degli scontri, di scioperi e manifestazioni degli anni 70, non contribuiva a comprendere dove, effettivamente, volesse andare a parare Made in Italy. Per fortuna, pur lentamente, la trama si disallinea da quella del film per assumere risvolti più aderenti al vissuto italiano e meglio si comprende la necessità della contestualizzazione storica nella quale il tema centrale della fiction, ovvero la nascita del Made in Italy, diventa un momento creativo nel senso pieno del termine, come ricerca del nuovo e, soprattutto, di una nuova identità.

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