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"Game of Games": ma non sarebbe meglio smetterla di giocare a fare i giochini?

È vero che ci siamo facilmente assuefatti a “Stasera tutto è possibile”, ma, a parte il fatto che le differenze sono notevoli, non c’è dubbio che il troppo, e soprattutto il troppo ravvicinato, finisce con l’annoiare

Lodevole ma non basta. Simona Ventura conduce "Game of Games"

Qualcuno dovrebbe cortesemente spiegarci perché la Rai, anzi, perché Raidue investe capitali in stupidari organizzati. Non sapremmo qualificare diversamente “Game of Games”, il mercoledì in prima serata, se non appunto come un inutile spreco di denaro che, nel tentativo di ricercare la leggerezza, si colloca di traverso formando un mappazzone indigesto. È vero che ci siamo facilmente assuefatti a “Stasera tutto è possibile”, ma, a parte il fatto che le differenze fra il gioco condotto da Stefano De Martino e quello di Simona Ventura sono notevoli, non c’è dubbio che il troppo, e soprattutto il troppo ravvicinato, finisce con l’annoiare (per giunta, gli ascolti non sono entusiasmanti: la seconda puntata ha raggiunto uno share del 3.7% pari a 915.000 spettatori).

Il gioco loco, cioè Game of games, trasportato dagli Stati Uniti fino in Italia, mette insieme Vip e Nip che devono contendersi un montepremi in fin dei conti modesto (15mila euro), in una gara a eliminazione su vari livelli e che si conclude con una manche finale molto simile a quella di Caduta libera su Canale 5. Le prove sono a dir poco disturbanti, stanno a metà fra Giochi senza frontiere e quelli dei programmi giapponesi in cui i concorrenti si rotolano nel fango, cadono, si rialzano, vengono sbattuti su un muro di gomma e ridono. Sì, infatti si dovrebbe ridere, ma noi non ci siamo riusciti, perché l’unico elemento veramente determinante è la confusione che i concorrenti creano. Una caciara organizzata, una festa di bambini con animatori al seguito, molto anni Novanta, per le musiche, i riferimenti, la grafica.

Come sopra detto, il paragone con “Stasera tutto è possibile” è intuitivo, ma la resa delle due trasmissioni è differente. Il cast di Di Martino è fatto per lo più da personaggi dello spettacolo che fidano molto sulla loro capacità teatrale di improvvisazione, quindi, alla resa dei conti, non sono i giochi a rappresentare l’anima del programma, ma una comicità che, fra goffaggine e ironia, si rinnova di volta in volta attraverso le prove del gioco.

La Ventura, invece, si affida a professionisti dell’ospitata televisiva, onesti mestieranti abituati a fingere divertimento, stupore, orrore e raccapriccio, e il cui desiderio di sottoporsi a giochi inconcludenti è dettato solo dal cachet della serata. L’unica che dimostra vero entusiasmo è proprio Simona Ventura, la cui professionalità anche nel condurre un programma sottodimensionato rispetto alle sue reali capacità è tangibile e ammirevole. La cifra stilistica della Ventura è riconoscibile e, anche questa, ancorata agli anni Novanta, ma il suo «sorriso ospitale, ridere, cantare, far casino» non basta a evocare il né la leggerezza, né, tantomeno, la nostalgia canaglia.

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