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"New Amsterdam", così la pandemia ha cambiato ogni cosa

L’attrattiva di una serie tv si misura spesso con la capacità di calarsi nella realtà contemporanea, in modo da dare al pubblico la percezione della verosimiglianza e la possibilità di identificazione nelle varie situazioni. E bisogna riconoscere che la terza stagione di New Amsterdam, in onda su Canale 5, compie un notevole sforzo in tale direzione, riuscendo a toccare vari aspetti del momento storico.

Vero è che, essendo un medical drama, il gioco è stato semplice, ma ciò che, in realtà ha sorpreso positivamente, è stata la competenza con la quale si sono affrontati vari aspetti della pandemia. Gli sceneggiatori, infatti, senza tradire le linee portanti della serie che ruota attorno l’attività del direttore sanitario Max Goodwing, sono riusciti a raccontare in maniera molto efficace le nuove problematiche che hanno comportato un ripensamento del sistema ospedaliero. Una rappresentazione molto vicina alla realtà, che però dimostrava come questa emergenza sanitaria ha trovato impreparata praticamente tutta la sanità mondiale e ha portato a interrogarsi su nuove e diverse prospettive.

Sin dalle prime puntate, nello sviluppo delle varie storie il coronavirus è diventato il protagonista occulto della serie, che ha cambiato radicalmente le priorità. Ma soprattutto era dalla varietà degli aspetti che via via venivano toccati e che si inserivano nelle vicende dei pazienti che si percepiva anche la necessità di mostrare le difficoltà affrontate da medici e parasanitari. Dalla revisione dei protocolli per accedere in sicurezza negli ospedali pur in quelle emergenze che richiedono tempestività di intervento, alle paure che hanno portato molti a chiudersi in casa trascurando anche cure necessarie, alla privazione sociale che ha portato soggetti psicologicamente fragili ad avere una maggiore necessità di accudimento che il contatto telematico non riusciva da solo a colmare, fino allo stress psicologico della partoriente, nessun reparto ospedaliero è rimasto indenne.

Più di tutti, però, ci ha colpito un aspetto della trama che aveva un risvolto etico interessante. All’atto in cui il dr. Goodwing – anche allo scopo di reperire fondi – ha dovuto fare da testimonial minimizzando i rischi che si correvano nell’entrare in ospedale, è stato quasi inconsciamente bloccato dal senso di responsabilità e dalla sua convinzione medica che, pur con tutta la prudenza e l’accortezza possibile, i pericoli di contagio permanevano. Ecco, ci è sembrata una interpretazione autentica della paura e un bell’esempio di lealtà intellettuale sia pure in una serie tv.

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