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E poi c'è sempre Cattelan, in tutti i programmi di Cattelan...

Bisogna riconoscere che Alessandro Cattelan è uno dei conduttori più versatili della sua generazione. È sveglio, ben introdotto nel mondo musicale, grazie alla sua lunga militanza sul palco di X Factor, ha dimestichezza con la scansione dei tempi, per il costante esercizio radiofonico, ha una cultura pop che in tv fa chic e non impegna e, non ultimo, parla un inglese fluently che a maggio lo porterà insieme con Mika e Laura Pausini sulla scena internazionale dell’Eurovision Song Contest.

Ma tutte queste virtù cozzano enormemente con la sua vanità, con una (neanche tanto) sottile spocchia, con il suo parametro, solo apparentemente elastico ma che, in verità, da lui parte e a lui arriva.
I segni già si intravedevano in «E poi c’è Cattelan», che mirava ai late show americani, hanno trovato conferma in «Da Grande», lo show su Raiuno che lo doveva consacrare e invece lo ha segnato, ma in «Una semplice domanda», sei puntate su Netflix, anche questo un talk itinerante, sono esplosi senza possibilità di fraintendimento.

E pensare che l’idea era ottima, partire dalla ricerca della felicità per parlare di temi universali, come amore, malattia, tempo, successo, fede, con personaggi noti la cui storia personale desta sana curiosità, Baggio, Vialli, Sorrentino, Giovalli, tanto per citarne alcuni. Fare un giro esplorativo nel senso delle religioni in compagnia di persone di diverse fedi e vivere un raduno prematrimoniale con un sacerdote e alcune coppie. Chiacchierare fra panorami e luoghi vari, facendo del contesto una risorsa scenografica e una metafora per gli argomenti trattati.

Insomma, una bella idea e una bella realizzazione in post produzione, che, però, si scontra con l’autoreferenzialità di Cattelan, il cui ego lo pone in prima linea anche se ha di fronte interlocutori prestigiosi e che ci piacerebbe ascoltare, che lo spinge a proporre i suoi ricordi adolescenziali in una sorta di sfida a distanza con chi gli sta davanti, che, talvolta, volontariamente mette in atto azioni prive di senso, (vedi il mega striscione sul Duomo di Milano), ma che rappresentano il suo modo di porsi un po’ radical chic.

Aveva provato Cattelan a cercare il confronto con uno psicoterapeuta davanti a una birra, giusto per non dar peso all’autoanalisi, ma è stato Roberto Giovalli, già brillante direttore delle reti Mediaset, ma da tempo, con coraggio e senza rimpianti, ritiratosi a vita privata, a metterlo di fronte alla realtà, chiarendogli che, per quanto la scelta di abbandonare il mondo televisivo, il successo, la carriera e un congruo compenso, possa essere affascinante, no, Cattelan non è pronto a ritirarsi dalle scene e forse non lo sarà mai.

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