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Viva Lidia Pöet, ma la strada delle donne è ancora molto molto lunga...

Entusiasmo, scoramento e consapevolezza della strada percorsa e da percorrere, sono questi i sentimenti che si sono alternati seguendo «La legge di Lidia Pöet», prima donna avvocata italiana, alla quale Netflix ha deciso di dedicare una serie, sulla piattaforma da mercoledì.
Una storia appassionante e giocata su più piani, quella che i registi Matteo Rovere e Letizia Lamartire portano sullo schermo, partendo dalla vicenda professionale della Pöet, della quale fu decretata la cancellazione dall’albo degli avvocati e procuratori di Torino. Dialoghi serrati, toni contemporanei e indagini investigative vintage, la serie è un po’ legal drama, un po’ racconto di costume di fine Ottocento, avvincente per le sfumature non convenzionali per l’epoca in cui è ambientata, destinata, anche per l’evidente sforzo produttivo, ad un mercato internazionale di largo respiro.
Non sappiamo quanto la fiction sia aderente alla realtà, ma possiamo dirvi che la Pöet ha tutte le caratteristiche per diventare un’eroina e Matilda De Angelis, alla quale è affidato il ruolo, sa ben calibrare l’aspetto serio, quello frivolo e seducente, ma soprattutto la volitività che fa dell’avvocata un personaggio quasi leggendario.
Detto ciò, per deformazione professionale, vedendo la serie, siamo stati colti da quei sentimenti contrastanti dei quali dicevamo all’inizio, che hanno il loro peso per la generale considerazione del femminile singolare. Il primo, l’entusiasmo, è facile da intuire, perché la Pöet è una figura affascinante per le battaglie condotte e per le capacità intuitive che si accompagnano alla sua preparazione professionale e che, pur certamente amplificate dalla sceneggiatura, rendono il personaggio accattivante. Ciò non toglie che è subentrato lo scoramento, quando siamo andati a documentarci sui motivi per i quali prima la Corte di Appello e poi la Cassazione alla fine dell’Ottocento decretarono la cancellazione dall’albo con argomentazioni che poco avevano di giuridico e molto di bigotto, arretrato e umanamente intollerabile.
Infine, il nostro pensiero è andato ai discorsi sulla condizione femminile ascoltati in questo recente Festival di Sanremo, da alcuni giudicati superflui o inutili. Ebbene, i pregiudizi subiti da Lidia Pöet forse adesso sono occultati, ma, in diversa maniera, esistono. Forse sono mascherati, ma in qualche maniera, c’è chi, ancora, ne risente. Allora la strada percorsa è tanta, ma evidentemente non siamo arrivati alla fine del percorso della parità.

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