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Effetto «Techetechetè», va bene i ricordi, ma che non diventino incubi...

Techetechetè? Ecco, riponiamole in una bella teca museale, con tanto di didascalia esplicativa: «Programma Rai realizzato a Km zero, grazie a materiale di archivio, dissotterrato appositamente per i mesi estivi». Dopo un’estate in cui le repliche tracimano da tutti i canali, il costo della benzina aumenta in maniera esponenziale e gli stabilimenti balneari offrono servizi a caro prezzo, non siamo in grado di reggere ancora filmati sulle memorie della nostra infanzia, pigiati nella 500 (senza aria condizionata), con i salvagenti già gonfiati sul tettuccio, in coda in autostrada, la cui colonna sonora inizia «Con le pinne fucile e occhiali» e finisce con «Luglio col bene che ti voglio».

Ma, soprattutto, dopo circa tredici stagioni smettiamola di esaltare come prezioso collage il contentino nel quale vengono assemblati, in maniera monotematica ma con titoli accattivanti, spezzoni di una tv a carbone, dimenticati da anni e trasmessi per la gioia (presunta) di noi boomer. Ancor meno ci sentiamo di esaltare la long version show, affidata alla conduzione di Flavio Insinna quasi come risarcimento danni per la sua nota sostituzione con Pino Insegno a L’Eredità. Sei puntate in tutto, ciascuna dedicata a diverse glorie nazionali dello spettacolo, che per la schizofrenia della programmazione Rai andranno in onda in un primo blocco per tre venerdì consecutivi mentre le altre sono previste per il palinsesto invernale.

Ad aprire la serie è stato Gianni Morandi, che, per repertorio, longevità artistica, esperienza multiforme e storia della musica italiana avrebbe potuto assicurare non una ma 6 puntate da 90 minuti, durata sufficiente ad evitare crisi di rigetto, perché, con tutto il rispetto per Morandi, dopo due ore già eravamo in overdose da «un mondo d’amore» e non eravamo arrivati neanche al Festival di Sanremo dell’87. Una carriera, insomma, ripercorsa passo passo ma alla moviola, con Flavio Insinna narratore che raccontava vita e opere del cantante di Monghidoro. Un ruolo ingrato, quello di Insinna, che a un certo punto ci sembrava aver assimilato posture e tonalità di Roberto Giacobbo al tempo in cui conduceva Voyager.

Abbandonata la sua verve da intrattenitore che tanto avevamo apprezzato nell’Eredità, Insinna è stato costretto a camminare in solitaria attraverso i luoghi che avevano visto Morandi nascere e crescere, a introdurre filmati e spezzoni di musicarelli, a sceneggiare sostanzialmente la biografia tratta da Wikipedia.
Insomma, va bene i ricordi, basta che non si trasformino in incubi.

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