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“Margherita delle stelle”, un biopic ordinario per una storia straordinaria

Temevamo fortemente che gli autori del biopic su Margherita Hack fossero tentati dall’inserire la battuta conclusiva che ci indicava tutti come “figli delle stelle” ma per fortuna siamo stati graziati da una tale banalità anche se ci siamo andati molto vicini. Il timore era fondato sulla scelta del titolo del flm tv dedicato alla astrofisica, perché “Margherita delle stelle”, ci sembrava più adatto ad un programma per bambini che alla storia e alla statura della scienziata, prima donna italiana a dirigere un osservatorio astronomico e, soprattutto, a farlo diventare dal nulla, uno dei centri di ricerca più accreditati.

Le nostre paure, invece, sono state in parte fugate da una realizzazione sufficientemente interessante, ma sottomessa alle necessità di una fiction generalista, a un racconto didascalico e, non ultima, alla vocina narrante della protagonista che punteggiava il racconto di una vita apparentemente normale ma, in realtà, fuori dall’ordinario. Tutto, infatti, assume un valore straordinario, non solo per la figura della Hack ma per la contestualizzazione nel tempo e nella società in cui la stessa ha vissuto e si è affermata. Un racconto, quello del regista Giulio Base, che spiega in maniera semplice, le fondamenta sulle quali la scienziata ha fondato la sua esistenza e le risorse umane e culturali grazie alle quali ha strutturato una personalità forte e resiliente.

A risaltare nella costruzione del racconto, quasi diventandone attori invisibili, erano alcuni solidi capisaldi etici, come l’educazione impartita sin da bambina alla Hack, impersonata da Cristiana Capotondi, da una famiglia di idee libertarie, il valore della pratica sportiva come esempio di resistenza e affermazione, la forza nel non accettare convenzioni sociali, tutti punti di forza che hanno permeato il carattere della donna e la capacità della scienziata divenuta riferimento culturale non solo per la comunità scientifica di appartenenza.

Ma più di tutti, assumeva un valore non banale l’amore fra la Hack e il marito Aldo De Rosa. Un legame fatto di comprensione e condivisione, tanto da far superare alla giovane astrofisica le perplessità di un matrimonio religioso pur di venire incontro al desiderio del marito cattolico e, quest’ultimo, ad appoggiare incondizionatamente la carriera della moglie, nonostante ciò comportasse per lui il sacrificio delle sue aspirazioni. Insomma, una storia d’amore esemplare per il rispetto reciproco e dalla quale molti dovrebbero prendere ispirazione, soprattutto in questi tempi in cui la sopraffazione sembra stare alla base di tante relazioni tossiche.

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