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Penelope Bridgerton, potenza della caparbietà femminile e...dell’armocromia

Cari, gentili lettori, nella melassa luccicante e setosa delle cronache mondane Regency di un’inesistente società multirazziale inglese, fra musiche pop convertite in minuetti, dame dai modi stucchevoli e dai volti stuccati, capigliature che sfidano le leggi di gravità e dell’abusivismo edilizio, anche questa terza stagione di Bridgerton, si è conclusa, lasciandoci, tuttavia, la certezza della continuità. Come per i precedenti capitoli, il tema attorno al quale sfarfalleggiavano dame e cavalieri era l’accasamento di fanciulle in età da marito, pratica che coinvolge in una frenetica attività madri già malmaritate e consapevoli di destinare le figlie a eguale sorte, purché ben temperata da agi, ricchezze e felicità di prole. Tuttavia poiché, alla fine, amor al cor gentile ratto s’apprende, vuole il destino che le pulchrae puellae riescano a coniugare sentimenti e nobiltà di stirpe, per un finale consolatorio e speranzoso.

E di tutte le storie che Julia Quinn ha tramandato perché Shondaland e Netflix moltiplicassero il loro rendimento azionario, è certo quella di Penelope Featherington la più avvincente, con un’eroina che scavalca la sua epoca di convenzioni per cavalcare un antesignano femminismo e una coraggiosa rivendicazione della sua personalità. Chi è Penelope se non il brutto anatroccolo che fa tappezzeria durante i balli e si rifugia nella lettura per superare la sua solitudine? E quale maggior soddisfazione può avere questa ragazza se non quella di mettere in piazza i vizi e le meschinità di una bigotta aristocrazia che la ritiene votata alla zitellaggine e la bullizza? Preziose informazioni e mai rovinose calunnie, si badi, ma tali da poter solleticare lo scandalo per le opinioni sferzanti e argute vergate sui suoi pamphlet.

Ma è allorché la vera identità di Lady Whistledown viene rivelata che Penelope, ora signora Bridgerton, non tradisce la sua personalità e, anzi, con nobiltà d’animo, rivendica la sua autonomia che le consente di essere tetragona di fronte alla generale disapprovazione, dare serenità economica anche alla sua tremenderrima madre, non abbassare la testa di fronte all’uomo che ama da una vita.
Ciascuna di noi, almeno una volta nella vita, si sarà sentita Penelope, vittima di body shaming o invisibile agli occhi dell’uomo che ama e comunque desiderosa di trovare una propria dimensione. Ognuna ha risolto a proprio modo. Penelope si è affidata ai colori per comunicare il suo cambiamento di rotta, ha abbandonato le tinte agli agrumi per passare a 50 sfumature di verde speranza e ci è riuscita. Potenza dell’armocromia.

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