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Del colpo non accorto

Del colpo non accorto

Ci sono dei versi che non mi danno pace: "E come avvien, quand'uno è riscaldato, | Che le ferite per allor non sente; | Così colui, del colpo non accorto, | Andava combattendo ed era morto". E in particolare è quel "del colpo non accorto, / Andava combattendo ed era morto" che mi perseguita.

C'è un "mistero" relativo a questi versi. Molti studiosi ne attribuiscono la paternità a Francesco Berni (1497 – 1535), anche se poi di sicuro li  ritroviamo in Matteo Maria Boiardo (Orlando Innamorato, LIII, 60). Ma c'è una consolidata tradizione che vuole che la strofa appartenga a Ludovico Ariosto. D'altra parte, Leopardi nell’operetta morale "Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie" (1827), li riferisce a un non meglio identificato "poeta italiano".

Edgar Allan Poe non ha dubbi sull'Ariosto: «That’s Italian, you perceive – from Ariosto. It means that a great hero, in the heat of combat, not perceiving that he had been fairly killed, continued to fight valiantly, dead as he was». E cita, non a sproposito, questo passo di Cervantes: "Ven, muerte, tan escondida, / que no te sienta venir, / porque el placer del morir, / no me torne a dar la vida" ("Don Quijote") ("Vieni, o morte, così nascosta che non ti senta arrivare, perché il piacere del morire, non mi restituisca la vita").

E se anche Borges è convinto della paternità ariostesca, non è da meno Sebastiano Vassalli che cita i versi con una leggera  variante: "del colpo non accorto, credeva di pugnare ed era morto".

 Fatto sta che, attribuzione a parte - Berni, Boiardo o Ariosto che sia - è la verità lampante di questi versi che mi colpisce. Il realismo inoppugnabile della descrizione, l'affilata rappresentazione dell'Evento. Siamo in battaglia e un guerriero viene colpito. E il colpo che riceve è mortale, lo uccide. Ma per un momento - un solo lunghissimo momento, la cui durata è infinita - il guerriero morto crede d'essere ancora vivo. E per un solo istante - la cui dimensione è incalcolabile - continua con convinzione a fare il suo mestiere di guerriero: combatte.

Ecco, Pavese lo ha chiamato il "mestiere di vivere". E dentro ci siamo tutti. Ognuno di noi scende ogni giorno sul campo di battaglia e va alla conquista di un frammento di vita, senza avere percezione che è stata solo un'esaltata illusione e che il nemico dal volto imperscrutabile gli ha già inferto un fendente micidiale. Siamo già morti e festeggiamo il Capodanno.

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