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Amelia Rosselli (1930-1996)

Amelia Rosselli (1930-1996)

"Ero io che cadevo dalle nuvole: io

volevo: io sapevo: io credevo: io distinguevo: io potevo".

 

Vent'anni fa moriva suicida Amelia Rosselli. Febbraio 1996. S'è gettata dal balcone. Ha fatto come il protagonista di "Birdman". Solo che lei non era il protagonista di "Birdman".

Si comprende meglio la sua opera poetica se la si mette in stretta correlazione con i pittori e compositori suoi contemporanei. Un parallelo creativo necessario, tutt'altro che arbitrario. Molti suoi versi mi ricordano, per esempio, i "tagli" sulla tela di Lucio Fontana. L'ansia, la furia, il bisogno di comunicare con drammatica immediatezza un'intima lacerazione sono i medesimi. Il verso di Amelia Rosselli non è più ordinato, cesellato: lei la pagina la lacera, la strappa, per gettarne i brandelli in faccia al lettore, ma in un movimento che non vuol essere di offesa o di sfida, bensì d'affratellamento.

Lei stessa ha chiarito: "Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho mai in realtà scisso le due discipline, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema. […] Ma se, degli elementi individuabili nella musica e nella pittura spiccano, nel vocalizzare, soltanto i ritmi (durate o tempi) ed i colori (timbri o forme), nello scrivere e nel leggere le cose vanno un poco diversamente: noi contemporaneamente pensiamo. In tal caso non solo ha suono (rumore) la parola; anzi a volte non ne ha affatto, e risuona soltanto come idea nella mente". Più chiaro di così.

Non sorprende allora la profondità speculativa di Giovanni Giudici quando ci illumina sull'importanza dell'avventura estetica di Amelia Rosselli. "I lapsus - scrive Giudici - le contrepètreries, le ambiguità, i corti circuiti semantici e gli altri procedimenti utilizzati alla stregua di funzionali errori creativi, continueranno a offrire occasioni di ricerca e riflessione a nuove leve di critici; ma almeno finora si è stati ben lontani dal rendere la piena misura dell'originalità, del vigore e della coinvolgente passione che di Lei hanno fatto una personalità eminente nella poesia europea del Novecento".

Personalmente, ogni volta che chiudo un libro di Amelia Rosselli, provo anche una certa vergogna. Vergogna per aver perso troppo tempo a leggere tutti quei libri che semplicemente non meritavano di essere letti, libri figli di idee volgari e sostanziati solo da vacuità, ma che il mercato editoriale è riuscito a imporci. Un mercato abile a clonare lettori e ormai anche scrittori, ma al cui ammaliante richiamo, almeno per un po', sono riuscito a sottrarmi leggendo le poesie di Amelia Rosselli.

"Se nel divino amore vi è chi paga la strada non è per niente

ch'io canto. Se nell'amore la gente si lascia e si prende

non è per niente ch'io scalo le montagne. Se nella montagna

vi è chi guarda e chi sogghigna, non è per niente ch'io

cado ai piedi del primo venuto".

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