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Il poeta terminale

Il poeta terminale

Hyde, amico mio, dammi una mano. È giunto il momento che tu mantenga quello che tanti anni fa mi hai promesso.

Ma di cosa stai parlando?

Anni fa, quando eravamo ragazzi, ci siamo fatti una promessa.

Allora, non stai parlando di anni, ma di secoli fa.

Esatto, ma questo non rende quella promessa meno sacra.

Sacra, addirittura. Jekyll, ma dai.

Ci siamo promessi che quando uno dei due sarebbe stato sul punto di, l'altro l'avrebbe aiutato.

Aiutato a far che?

Ce l'hai ancora la pistola?

Certo che ce l'ho. Guarda, la porto sempre con me. Ma questo che significa? Tu stai benissimo. E a quanto mi risulta non sei devastato da alcun morbo.

Ma che dici?! È questo il punto. Io soffro, sempre di più. Il dolore mi dilania. E non c'è nessuna morfina che possa darmi sollievo. A me la vita è male, amico mio. Per me la vita è una malattia da cui non mi riesce di guarire. E voglio che tu mi aiuti a mettere fine a questa sofferenza.

Ma tu non sei umiliato da alcun dolore.

Puoi allora spiegarmi com'è che quando sono solo, non sono solo?

Guarda che se continui a parlare così, lo faccio veramente.

Capisci, Hyde, vorrei avere la forza per scavalcare me stesso, vorrei buttarmi dove non ci si può buttare. Lasciarmi. Essere.

Sì, Jekyll, è inutile che urli il mio nome, ci sento benissimo. Pensa a me, allora. Costretto a darmi da fare quotidianamente per rincorrerti e per sfuggirti. E invece resto prigioniero di una fotografia che saltella indietro nel tempo, fino a divenire l'esatto contrario di ciò che sono adesso. Roba d'ammattire. Ah, e soprattutto un consiglio: non parlarmi mai più in questo modo quando ho la pistola in mano.

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