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Ultima cena

Ultima cena

Con il volto di Dio tatuato sul petto, le mie anime erano serpi servite a pranzo. Signori, accomodatevi, assaporate pure. Mettevo la testa sotto terra, con il resto del corpo congelato dalla vita in giù. I miei desideri non sfuggivano ai clienti che se ne approfittavano e mi acquistavano per niente. Fra costolette e würstel anch’io steso sul bancone della carne. M’invitavano a cena ed ero io la cena. Mi chiamavano per una battuta di caccia e finivo con l’essere scuoiato. Perfino a letto non ero che un quarto di bue. Mangiavo ed ero mangiato. Il mio corpo griffato finiva esposto ai grandi magazzini. Un manichino con unghia laccate, tacchi a precipizio e sguardo esterrefatto. Insaccato nel cellophane, con capelli sontuosi, in attesa che qualcuno mi preparasse per la vetrina. I vestiti che mi mettevano addosso erano tinti col rosso del mio stesso sangue. Un rosso che via via sbiadiva fino a diventare il tenue rosa di una lampadina mal funzionante. Cellophane siete e cellophane diventerete. Polvere alla polvere. Insieme con i giocattoli rotti anch’io nei sacconi dell’immondizia. Plastica alla plastica. Pattume al pattume.  

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