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Borges

Borges

In "Artifici", la seconda raccolta di racconti che completa lo stupefacente "Finzioni", Jorge Luis Borges, soprattutto con un testo, tocca una delle vette più alte del proprio magistero narrativo. Forse soltanto con gli intricati capitoli di "Altre inquisizioni", oppure con la breve novella "Utopia di un uomo che è stanco" - che lui stesso confessò di considerare la sua "méjor pagina" - ha raggiunto una perfezione paragonabile a quella di "Funes, o della memoria": poche e intensissime pagine in cui egli rende quasi ipotizzabile l'idea della sconfitta - o meglio, del superamento - dello spazio e del tempo a opera della mente umana.

La vicenda che Borges concepisce diventa, così, un'inquietante metafora dell'esistenza oppressa dal fardello dell'eternità e, nel contempo, dell'infinita lotta che contro di essa combatte la memoria. Il protagonista della storia è un diciannovenne, Ireneo Funes, che in seguito a un banale incidente ­- viene travolto da un cavallo - perde i sensi, per poi risvegliarsi riscoprendosi arricchito da una percezione e da una memoria infallibili. "Ho più ricordi io da solo - afferma Ireneo - di quanti non ne avranno avuti tutti gli uomini insieme, da che mondo è mondo".

Ma la descrizione della prodigiosa capacità mnemonica di questo personaggio serve a Borges per scavare nell'insufficienza di un processo di memorizzazione - sia pur iperbolico - fine a se stesso, da cui il sospetto che quel ragazzo, in fondo, "non fosse  molto capace di pensare". Borges non riesce a prescindere dal considerare la complessità del processo intellettivo del suo Ireneo Funes: "Sarebbe stato difficile dire cosa fosse più reale, per lui: il mondo dell'immaginazione, nel quale viveva, o il mondo della realtà, nel quale restava sempre come un ospite temporaneo". E nel contempo appare evidente come Borges al ritratto di Ireneo abbia voluto sovrapporre quello di ogni scrittore. Già, lo scrittore, questo "mostro di sensibilità" (Henry James) tutti i giorni in giro per il mondo a registrare, registrare. Sempre pericolosamente in equilibrio fra l'abisso della creazione (oppressa dal fardello insostenibile della memoria) e quello di una realtà che non può contrastare il rumore opprimente della morte.

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