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Clubhouse, la rivoluzione del social basato soltanto sull'audio

Nella galassia di internet sembra essere arrivato il momento di Clubhouse, una piattaforma social basata soltanto sull’audio.

Nella galassia di internet sembra essere arrivato il momento di Clubhouse, una piattaforma social basata soltanto sull’audio, che permette agli utenti di discutere su un argomento prestabilito con un sistema di comunicazione originale.  Uno strumento che sta a metà tra l’immediatezza dei “memo vocali” e  la semplicità d’utilizzo dei  podcast.  Le chat, gestite da un moderatore, diventano così stanze sonore in cui sono messi al bando  foto, video  e testi (se non nella traduzione simultanea per i non udenti).

Clubhouse: un “circolo esclusivo” con due milioni di utenti

Lanciata negli Stati Uniti nell’aprile del 2020, nonostante si possa considerare per il momento un “circolo esclusivo”  nel quale si accede soltanto a inviti e si “parla”  unicamente in inglese ,  Clubhouse registra oltre due milioni di utenti attivi ogni settimana.  Una cifra notevole, inoltre,  se si considera che  per aderire  bisogna avere almeno 18 anni e possedere un iPhone  (l’app per Android è in via di sviluppo, ma non si sa quando sarà pubblicata sul Play Store).

In questi ultimi mesi le restrizioni dovute alla  pandemia hanno cambiato il nostro modo di vivere: tutto è stato per lo più dirottato nel mondo digitale, fra videoconferenze e live-streaming, dalle  riunioni lavorative alle lezioni online , fino alle funzioni religiose. Anche se costretti a rimanere a distanza, gli utenti  di internet hanno mostrato un’estrema voglia di socialità, in ogni momento e in ogni luogo: anche quando sono impegnati in attività (dallo sport alle faccende domestiche) che non consentano di visualizzare uno schermo o digitare su una tastiera.  Per questo,  l’uso esclusivo dell’audio,  peculiarità di ClubHouse,  rappresenta una carta vincente. L’app, il cui valore è stato stimato per oltre 1 miliardo di dollari,  ha ricevuto un finanziamento di circa 100 milioni dalla società di venture capital Andressen Horowitz.

Ma dietro il successo del nuovo social network c’è la crescente diffusione negli stessi mesi di cuffie e auricolari sempre più sofisticati e, soprattutto,  degli  “smart speaker”,  gli altoparlanti intelligenti grazie ai quali, un po’ come Aladino e il suo genio della lampada,  è possibile evocare  prodigiosi assistenti vocali.   Un settore che nel 2020 ha totalizzato 7,5 miliardi di dollari.

Clubhouse è il social del futuro?

Come spesso accade, di fronte a progetti inediti che appaiono nella Grande rete,  anche in questo caso c’è chi parla  di “nuovo fenomeno”,  o addirittura del “social del futuro”, facendo immaginare, se così fosse,  un mutamento epocale. Siamo di fronte al ritorno planetario all’oralità?

Walter  J. Ong,  nel citatissimo saggio del 1982 “Orality and Literacy”,  sostiene che la scrittura ha «trasformato la mente umana più di qualsiasi altra invenzione»  e che il passaggio da una società orale a una basata sulla scrittura ha determinato non solo gli sviluppi i più significativi del pensiero e della nostra civiltà, ma un vero e proprio “cambio di coscienza”. Potremmo assistere, quindi, a un’”oralità secondaria”,  a una irreversibile regressione antropologica e culturale?

E’ uno scenario  improbabile. Ma è comprensibile come i più pessimisti  possano  intravedere le estreme conseguenze della frantumazione e  del decadimento del linguaggio scritto.  A provocare l’allarme nella babele digitale, non è solo la tendenza alla sintesi  frettolosa,  fra gli “short message”,  gli emoticon e la messaggistica istantanea ,  quanto la povertà di argomentazione.   Se c’è chi  inorridisce per il frenetico ricorrere alle “tachigrafie”  (“xché” e “grz” sostituiscono “perché” e “grazie” e così via ) basta sbirciare tra i commenti sgrammaticati  nei social per constatare come, tra farneticanti complottismi e raffiche di gratuiti improperi,   dilaghi un analfabetismo non solo funzionale  ma sostanziale.

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