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Pupi Avati: una fiction su un "inedito" amore struggente

A tre anni da “Le nozze di Laura”, Pupi Avati torna a raccontare il mondo dei ragazzi ne “Il fulgore di Dony”, in onda stasera (29 maggio) su Rai1 (ore 21,25). Prodotto da Rai Fiction con la DueA Film, il nuovo lavoro del regista, scritto con Tommaso Avati, racconta la storia d’amore tra Donata “Dony” Chesi (Greta Zuccheri Montanari), adolescente bolognese poco appariscente, e il fascinoso sportivo Marco (Saul Nanni). Un sentimento inizialmente non corrisposto, col ragazzo che ignora le attenzioni di Dony, ma destinato a diventare intenso e totalizzante quando i protagonisti si rivedranno per caso in ospedale, dove Marco è ricoverato per una caduta da sci che in realtà nasconde un serio danno neurologico. Ad affiancare la Montanari e Nanni, Giulio Scarpati e Ambra Angiolini, nei panni dei genitori di Dony, e Andrea Roncato e Lunetta Savino in quelli del padre e della madre di Marco. Alessandro Haber interpreta lo psichiatra del Tribunale dei Minori che, interrogando la ragazza, cerca di capire i motivi della tragica svolta della vicenda.

Il film racconta una storia di adolescenti piuttosto lontana dalle convenzioni. Come è stata concepita?

“Penso sia nata da una suggestione del Papa, quando ha parlato della cultura dello scarto: nella società odierna ciò che non è perfettamente funzionale alle opportunità che ognuno cerca per sé viene emarginato, proprio come avviene con gli esseri umani che hanno qualche problema. Nel Vangelo c’è il discorso della montagna che sintetizza le beatitudini, summa del pensiero di Gesù Cristo sull’essere umano e su come dovrebbe comportarsi. Una di queste dice “gli ultimi saranno i primi”, indicando come l’ultimo dovrebbe godere di un’attenzione maggiore. E allora quale migliore rappresentazione di questo concetto con la vicenda di una ragazzina di Bologna, di modesta bellezza, innamorata di un ragazzo affascinante che all’inizio non la considera minimamente;  ma poi, a seguito di un incidente, precipita nel baratro della disabilità fisica e psicologica, finendo completamente isolato, emarginato e avendo così bisogno lui di lei. Da qui nasce una storia di vicinanza e d’amore struggente, profonda e assoluta, inedita rispetto ad altre raccontate al cinema. Infatti ci siamo discostati parecchio dalle convenzioni del cinema e della fiction televisiva”.

Gli adolescenti di oggi sono spesso protagonisti di episodi di violenza, bullismo, che mostrano un disagio di vivere molto più marcato rispetto alle precedenti generazioni…

“Siamo dall’altra parte dell’universo e nel presente, questa storia non racconta quanto fossero ingenui e straordinari i ragazzini degli anni Cinquanta. E’ una vicenda di oggi, dove i protagonisti si muovono nel contesto odierno, pieno di ostilità e cinismo. Per il titolo ho scelto il sostantivo “fulgore” perché il massimo della luminescenza è il fulgore. La storia di Dony è una storia che fa luce, perché è di una bellezza straziante e commovente. Purtroppo oggi soprattutto i più sensibili e vulnerabili, che non sanno difendersi e vengono da famiglie che li hanno educati al rispetto degli altri, venendo a contatto con contesti di arroganza, prepotenza e bullismo, diventano spesso vittime”.

Cosa si dovrebbe fare per arginare un problema così drammatico?

“Credo che la soluzione sia proporre modelli simili ai protagonisti del film. Certamente questo non è un film rassicurante e consolatorio, perché pone problemi molto drammatici; ma nel porli considera l’altro, il più debole, quello che cristianamente viene definito “il tuo prossimo”, come una presenza che merita attenzione e amore”.

Colonna sonora del film è il brano “Corri” di Marianne Mirage. Come l’ha scelto?

“Cercavo una canzone per il film e Caterina Caselli, discografica dell’artista, me ne propose  alcune. Mi piacque subito questa perché la reiterazione del “corri” rappresenta ciò che è dentro questa ragazzina. Vedendo il film ci si rende conto di quanta energia e determinazione abbia un’adolescente così minuta quando scopre il senso della sua vita in questo ragazzo malato. Il senso della nostra vita lo troviamo sempre nell’altro: ci illudiamo che sia dentro noi stessi, ma non è così. Se ci chiudiamo agli altri difficilmente lo scopriremo”.

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