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Cento anni fa nasceva Ugo Tognazzi, ritratto di un mattatore dalla faccia comica e sguardo malinconico

Ugo Tognazzi. Centocinquanta personaggi cinematografici, un’inesauribile carrellata di macchiette comiche (per lo più in compagnia di Raimondo Vianello) in tv, un amore per il teatro riscoperto con entusiasmo nella fase della maturità, tre libri di cucina e un pugno di premi tra cui spicca la Palma d’oro a Cannes per «La tragedia di un uomo ridicolo» (Bernardo Bertolucci, 1981) non dicono abbastanza dell’artista e dell’uomo. Non possono raccontare la timidezza e la malinconia segreta che si legge invece bene nelle sue cinque regie tra «Il mantenuto» del 1961 e il quasi autobiografico «I viaggiatori della sera» del 1979. Ma soprattutto non dicono di un uomo che amava sbranare la vita, che si sentiva solo se non era circondato da amici, donne e figli, che sosteneva di fare l’attore per hobby sognandosi piuttosto come un’eccellenza nella gastronomia regionale e internazionale.

Una maschera straordinaria

Nata nell’avanspettacolo ma capace a teatro di recitare Pirandello in francese. Vita consumata soprattutto tra tv (restano negli annali le gag con Raimondo Vianello) e cinema. Tognazzi, il giovane ragioniere cremonese del salumificio Negroni, da grande ha conquistato l’Italia, lui che da attore ha rappresentato gli italiani sotto varie fisionomie: a volte donnaiolo impenitente, altre volte bugiardo incallito, altre ancora imbroglione da quattro soldi. E’ passato dall’interpretare la parte dell’operaio metalmeccanico in "Romanzo popolare", a quello dell’industriale settentrionale ne "La tragedia di un uomo ridicolo" di Bertolucci con la stessa naturalezza di sempre; credibile quanto perfettamente convincente.

Tognazzi, nato a Cremona il 23 marzo del 1922, è stato tra i "mattatori" della commedia italiana. Era un attore capace di interpretare ruoli anche "scomodi", spessissimo moderni, di sovente controcorrente. Non temeva il giudizio del botteghino e per questo riusciva ad osare.

Ogni film diverso dall’altro

Anche nei sequel di produzioni fortunatissime come per "Il vizietto" o "Amici miei" pare cambiare atteggiamento, dare comunque un tocco di originalità. In ognuno ha lasciato una parte di sé, frammento del grande attore, del grande uomo di spettacolo che amava il cinema quanto le donne, la famiglia e quella che è stata la sua più grande passione: la cucina.

Ha osato in quel sodalizio fortunato che lo ha legato a Marco Ferreri, che ha consentito di realizzare quel magnifico film che era "La grande abbuffata". Ha osato anche in quella brevissima carriera da regista (5 film all’attivo), dirigendo pellicole che difficilmente qualcuno gli avrebbe offerto, come "Il fischio al naso", un gustoso gioiellino del nonsense. E poi le commedie dal tono leggero, con un canovaccio intriso di equivoci, corna e bugie, improbabili scuse e una vita da consumare sotto le lenzuola. Ci sono anche le pellicole più impegnate, con Tognazzi nella parte dell’eroe borghese.

La faccia comica, lo sguardo malinconico

Sembra che ci sia un prima e un dopo nella sua fruttuosa filmografia; la faccia comica degli inizi e poi quella malinconica degli ultimi anni della carriera. Nel suo sguardo la visione sorniona del mondo, di una vita che con i suoi personaggi è riuscito a tratteggiare mai banalmente. Una vita vissuta per la settima arte, concretizzatasi in quella mole di pellicole alcune delle quali divenute pietre miliari. Snocciolare tutti i titoli, anche i principali della sua carriera cinematografica è cosa assai ardua.

Tognazzi, 100 anni: una vita che racconta l'Italia

I cent'anni di Ugo sono un’istantanea dell’Italia che cambia, uscita affamata di vita e di cibo dagli stenti della guerra mondiale, gettata nella corsa al benessere degli anni '60, attraversata dalla paura e dall’eccesso negli anni '70, ripiegata sulla ricerca di sé nel decennio successivo. Attore monumentale nella sua naturalezza, capace come pochi di mutare registro tra il comico e il drammatico con una semplice smorfia e un battito di ciglia, Ugo Tognazzi ha saputo costruirsi protagonista giocando sempre da coprotagonista, usando il registro dell’understatement anche quando faceva il mattatore, dipingendosi come uomo normale, sempre in prima fila nel prendere in giro se stesso e l’italiano medio. Sempre, salvo quando troneggiava in cucina dove non tollerava critiche e cercava la perfezione, guardando alla tavola come al palcoscenico in attesa dell’applauso liberatore.

Figlio di assicuratore, crebbe da girovago fino a ritornare nella sua Cremona (dov'era nato il 23 marzo 1922) da adolescente, a 14 anni, cementando un legame che avrebbe coltivato per tutta la vita, dividendo perfino la passione calcistica tra il Milan (per lui mamma, fidanzata, "moglie") con la Cremonese ("L'amante") dell’amico-presidente Domenico Luzzara, suo primo compagno di palcoscenico.

L'esordio in teatro

In teatro esordì, inconsapevole, a soli 4 anni al teatro Donizetti di Bergamo, ma alla sua verve comica doveva la possibilità di evitare la prima linea durante il servizio militare, quando per tutta la guerra fu assegnato a spettacoli per risollevare il morale della truppa, compresa la breve parentesi in marina ai tempi della Repubblica di Salò.

Il salumificio, l'incontro con Vianello, la scoperta della tv

Assunto come ragioniere al salumificio Negroni, lo lasciò nel 1945 per una serata dei dilettanti al Teatro Puccini di Milano, Lì venne notato e ingaggiato dalla compagnia di Wanda Osiris per far coppia con Walter Chiari e cinque anni dopo debuttava al cinema con «I cadetti di Guascogna» di Mario Mattoli. La svolta venne l’anno dopo con l'incontro con Raimondo Vianello, la scoperta della tv. Aveva già fatto tutta la gavetta sui set di commedie e farse quando, dopo il licenziamento in tronco dalla Rai nel 1959 per una gag che alludeva al Presidente Gronchi, scelse definitivamente il cinema.

Il cinema, la svolta

Coincide con «Il federale» del 1961 diretto da Luciano Salce e poi con «La marcia su Roma» di Dino Risi: due successi popolari che ne fanno un autentico antidivo e gli aprono le porte di Cinecittà. Nel '63 comincia il suo sodalizio con Marco Ferreri ("L'ape regina"), nel '64 partecipa al trionfo de «I mostri», nel '65 giganteggia in «Io la conoscevo bene» di Antonio Pietrangeli, nel '67 dirige il suo film più ambizioso, «Il fischio al naso» dalla novella di Buzzati. Da lì in avanti la sua carriera sarà in costante ascesa: basti ricordare gli eccessi de «La grande abbuffata», la trilogia di «Amici miei» e il sodalizio umano e artistico con Mario Monicelli, il trionfo anticonformista de «Il vizietto», le collaborazioni con Pasolini ("Porcile"), Scola «Il commissario Pepe"), Luigi Magni ("Nell’anno del Signore"), Luigi Comencini ("L'ingorgo"), Alberto Bevilacqua ("La califfa"), Bertolucci.

Tre compagne, quattro figli, una moglie

Nonostante tre compagne con quattro figli diversi (Pat O'Hara, Margarete Robsahm, l’adorata moglie Franca Bettoja), Ugo Tognazzi era un uomo fedele: legatissimo a Luciano Salce, Marco Ferreri, Dino Risi, Mario Monicelli, ha avuto in Raimondo Vianello (prima) e Vittorio Gassman (dopo) i più grandi complici. Tanto che Alessandro Gassmann , cresciuto a sua volta anche nella "tribù" dei Tognazzi, ricorda esilarato le gare tra i due per ingrandire e popolare le rispettive cucine nelle case di Velletri, sorte l'una a fianco all’altra e progressivamente ingrandite in una gara al primato che coinvolgeva tutti gli amici comuni. Del resto fino alla fine Gassman&Tognazzi (nati nello stesso anno) vissero quasi in simbiosi, colti entrambi dalla depressione sul crinale della maturità. E così li ricorderanno la prossima estate la Cineteca Nazionale e la Casa del Cinema in una spettacolare cavalcata attraverso i successi paralleli di entrambi. In loro rivive un’Italia della memoria che è anche spettacolare fotografia delle radici dell’oggi.

Ugo Tognazzi, 100 anni da celebrare

Mercoledì 23 marzo Ugo Tognazzi compie 100 anni e per la prima volta dalla sua scomparsa (il 27 ottobre del '90, a causa di un fulmineo aneurisma che lo colse nel sonno ad appena 68 anni) l’Italia e il cinema si ricordano di lui con l’attenzione e l’onore che merita uno dei maggiori attori della nostra scena.

Ha cominciato il figlio maggiore Ricky con l’emozionante ritratto di famiglia «La voglia matta di vivere» andato in onda due sere fa su Raidue e firmato con la complicità dei fratelli Thomas, Gianmarco e Maria Sole; prosegue la sua città natale, Cremona, con due giorni di convegno internazionale, «Questa specie d’attore» curato da Elena Mosconi. Si proseguirà in aprile a Velletri con l’apertura al pubblico della sua casa-museo, mentre Torvajanica lo ricorda in agosto con iniziative gastronomiche, mostre fotografiche e la ripresa del famoso torno di tennis al Villaggio Tognazzi, adesso reinventato nel segno del padel col titolo «La padella d’oro».

Altre iniziative sono in programma tra la Mostra di Venezia e la Festa del Cinema di Roma per poi tornare a Cremona in novembre con una spettacolare «Cena con Ugo». E’ un viaggio nelle case dell’attore e nella sua memoria che mette insieme le note salienti del carattere e dell’arte: la passione per la recitazione, il legame profondo con il territorio, il virtuosismo gastronomico, la necessità della «tribù» e degli amici, il successo popolare che il cinema gli ha dato grazie alla sua dimensione di «colonnello della risata» e di «uomo qualunque» in cui tutti potevano riconoscersi in un modo o nell’altro.

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