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Festa del Cinema di Roma, "L'ombra di Caravaggio" e quella morte che resta un giallo

Tormentato e maledetto fino all’ultimo, il grande Caravaggio. Tanto da morire vittima di una congiura, anzi, di un omicidio di Stato. Assassinato nel buio di una galera come in uno dei suoi incubi peggiori, quelli che resero più neri del nero gli ultimi mesi, che lo portarono a ritrarsi morto in uno dei suoi ultimi capolavori, il volto tumefatto prestato alla testa mozzata del Golia. In anteprima il 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, poi in sala dal 3 novembre con 01, accoglie una delle ipotesi più controverse e nello tempo più suggestive sulla morte del genio lombardo L’ombra di Caravaggio, il film di Michele Placido con Riccardo Scamarcio nei panni del «pittore eccelso» amato e odiato dai suoi contemporanei, star assoluta dei nostri tempi, capace di richiamare le folle con la vitalità della sua pittura, ma anche di sedurle col fascino tenebroso di una vita complicata, devastante, sempre sopra le righe.

Avanzata dallo storico napoletano Vincenzo Pacelli, che al genio lombardo ha dedicato larga parte della sua vita professionale (Aa.Vv. Caravaggio tra arte e scienza, a cura di Vincenzo Pacelli e Gianluca Forgione, Paparo Editori, 2013) la tesi di una morte violenta di Caravaggio mette in discussione convinzioni di secoli, ma anche documenti ancora oggi riconosciuti come validi sul luogo e sulle cause della fine prematura del grande pittore, che si ritiene avvenuta in Toscana, a Porto Ercole, il 18 luglio del 1610. Di certo c'è che una tomba di Caravaggio non è mai esistita, almeno prima del controverso ritrovamento nel 2010 delle ossa attribuite al pittore dall’equipe guidata da Silvano Vinceti. Né, che si sappia, c'è mai stato un funerale. Misteriose sono pure le cause di quella morte solitaria: i biografi antichi sono vaghi, c'è chi parla di febbri, chi di malaria, chi si limita a indicare una generica malattia.

Pacelli, pur riconoscendo di non avere una certezza documentale, si era fatto un’altra idea. Secondo lui Caravaggio è stato ucciso nel castello di Palo, a pochi chilometri da Civitavecchia, su iniziativa dell’Ordine di Malta ma con il tacito assenso della Curia romana. Il suo corpo è stato fatto sparire, probabilmente in mare, per poi far circolare notizie non vere sulla sua fuga in Toscana. Siamo nel luglio del 1610. Da Napoli, dove era appena scampato ad una violentissima aggressione, Caravaggio si imbarca su una feluca che deve avvicinarlo a Roma, dove spera di ottenere la grazia per la condanna a morte che da anni pende sul suo capo. Con sé ha i quadri dipinti nell’ultimo periodo napoletano, almeno tre tele, forse non solo quelle. Sono doni destinati a Scipione Borghese, famelico collezionista ma anche potente cardinale, nipote del papa dal quale si aspetta il perdono.

A Roma però non arriva mai. Le fonti antiche dicono che viene arrestato per sbaglio a Palo, poi rilasciato e che muore qualche giorno dopo a Porto Ercole dove è arrivato, forse per inseguire la feluca con i suoi quadri rimasti a bordo. Questo mentre invece l’imbarcazione era tornata a Napoli, dove il bagaglio del pittore viene riconsegnato a Costanza Sforza. Fin qui la storia tratteggiata da fonti, lettere e documenti. Una storia che non quadra, sosteneva Pacelli. A cominciare dal fatto che tra Palo, dove sicuramente Caravaggio è approdato (c'è la prova del suo arresto nella località feudo degli Orsini) e Porto Ercole, dove il pittore sarebbe giunto 'a piedi', ci sono almeno cento chilometri, «allora disseminati di paludi».

Il sospetto, invece, è che Porto Ercole, allora in mano agli spagnoli, sia stato stato «scelto» come luogo della morte «per allontanare il più possibile da Roma» la scomparsa di un personaggio così noto e ingombrante. Tanto più, notava lo studioso, che uno dei suoi biografi contemporanei, il medico Giulio Mancini, scrive che il pittore è morto a Civitavecchia, "ma su quel documento il termine è cancellato e poi da altri corretto in Porto Ercole».

Mancini parla anche di morte "violenta", argomenta Pacelli, così come Francesco Bolvito bibliotecario dei Teatini, che nel 1630 scrive che «il pittore è morto assassinato». Ci sarebbe stata, insomma una mistificazione della storia, una fake news diremmo oggi. Così come sarebbe un falso, anche di questo era convinto Pacelli, il documento ritrovato nel 2001a Porto Ercole che attesta la morte di Caravaggio nel centro toscano arretrandola di un anno (al 18 luglio 1609). «Tante bugie per coprire un delitto», sottolineava lo studioso all’ANSA, convinto che i mandanti abbiano avuto la complicità di persone che a Caravaggio erano molto vicine, addirittura la marchesa Costanza Sforza Colonna, l’ultima ad averlo ospitato. Possibile che l’abbia tradito? Pacelli non c'è più, è morto nel 2014. In attesa di altri frammenti di verità che potrebbero arrivare dagli archivi il dibattito resta aperto. Quattro secoli dopo quel viaggio disperato, la morte del grande Caravaggio è ancora un mistero.

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