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Cinque anni fa la tragedia di Rigopiano. I parenti delle vittime chiedono verità e giustizia FOTO

Sono trascorsi cinque anni dalla tragedia di Rigopiano, quando alle 16.48 del 18 gennaio 2017 una valanga travolse l’hotel resort provocando 29 vittime tra le 40 persone presenti nella struttura: per ricordare le vittime sono state organizzate commemorazioni sia sul luogo della tragedia - con una fiaccolata in programma nel pomeriggio - sia nelle città di Montesilvano (Pescara) e Chieti. «Noi lottiamo da cinque anni - hanno scritto in una nota i promotori del Comitato vittime - per dare giustizia ai nostri angeli e per far sì che mai più si ripeta quello che è successo a Rigopiano». Tra i presenti ci saranno anche i volontari del Soccorso Alpino e Speleologico abruzzese i quali hanno voluto ricordare "un’esperienza terribile, che - sottolinea il presidente Daniele Perilli - ha segnato tutti noi soccorritori. Ritrovare però alcuni ospiti dell’hotel ancora vivi è stato emozionante per chi come noi ha partecipato alle ricerche fin dalle prime ore». Proprio nelle ultime ore il Procuratore della Repubblica di Pescara Giuseppe Bellelli aveva assicurato un calendario di udienze serrato per arrivare ad una sentenza in tempi brevi.

Il soccorritore: immagini strazianti, l'incubo ritorna

A ricordare la tragedia del 18 gennaio del 2017 è Fabio Pellegrini, 47 anni, di Loreto Aprutino, fra i primi ad arrivare con ai piedi un paio di sci quel giorno sul luogo del disastro: «Ero qui quella notte e ricordo delle immagini strazianti che non avrei mai voluto vedere. Quelle immagini ritornano spesso e non solo in questi giorni. Il mio pensiero va a quella notte e a quei giorni e ai familiari delle 29 vittime. Con Giampiero Parete (uno dei superstiti) è nata una bella amicizia ma anche con altri. Queste persone vogliono giustizia, vogliono sapere quello che è accaduto ed è dura per loro dover convivere ogni giorno con questo dolore».

«Parole capo Procura iniezione di fiducia»

«L'iniezione di fiducia che ci ha dato con le sue parole il nuovo capo della Procura di Pescara (Giuseppe Bellelli, ndr) che ha detto pubblicamente di voler chiudere la prima fase processuale di primo grado entro l'anno ci fa essere fiduciosi». Così Gianluca Tanda, fratello di una delle vittime e tra i portavoce del Comitato Vittime, presente questa mattina a Rigopiano per commemorare il quinto anniversario della tragedia. «Non c'è memoria - spiega - se non c'è giustizia. Lo dobbiamo ripetere anche oggi. Noi veniamo qui a testa china perché non pensiamo di non aver fatto tanto, non abbiamo colpa, ma dobbiamo cercare a tutti i costi questa giustizia. Sono passati cinque anni - prosegue Tanda - e tante cose successe rimarranno seppellite sotto questa neve, ma quel senso di giustizia lo dobbiamo avere. La paura fino a ieri era quella che passasse l’idea che fosse stato il terremoto. Proprio oggi è uscita la notizia che secondo una perizia secondo la quale il terremoto non ha provocato la valanga».

«Verità, no caccia alle streghe»

«Chiediamo verità ancor prima di giustizia perché la giustizia presuppone anche un prezzo alto e caro da pagare». A sottolinearlo Alessandro Di Michelangelo, fratello di Dino - il poliziotto di Chieti che a Rigopiano ha perso la vita insieme alla moglie Marina Serraiocco - nel corso di una cerimonia dinanzi al monumento dedicato alle vittime dell’hotel Rigopiano. Una composizione di fiori deposta dinanzi al monumento è stata donata dai poliziotti del Commissariato di Osimo, colleghi di Dino. Alla cerimonia, con la madre di Di Michelangelo, Loredana, e il fratello Alessandro, c'erano il prefetto Armando Forgione, il sindaco Diego Ferrara, il questore Annino Gargano, i comandanti provinciali di Carabinieri e Finanza, i colonnelli Alceo Greco e Serafino Fiore, gli amici di Dino, il musicista Giuseppe Pezzulo che ha accompagnato la cerimonia con le note del violino. «Noi abbiamo già pagato tanto - spiega Alessandro Di Michelangelo - la vita ci è cambiata da quel 18 gennaio, ma vogliamo sapere prima come cittadini, abbiamo diritto di sapere, ma anche come familiari e successivamente anche come parti civili, cosa è accaduto quel giorno, ma anche i giorni successivi e i giorni precedenti all’evento, perché è tutto legato. La ricerca della giustizia non significa caccia alle streghe, noi non la vogliamo perché il dolore è già tanto, aumenteremmo solo il dolore, ma vogliamo sapere solo quello che è successo. Io come fratello e come parte civile - prosegue - ho sposato in pieno anche con la mia famiglia le tesi della Procura della Repubblica, perché le ho ritenute da subito un lavoro eccellente, perché è stato un lavoro difficile, in un ambiente difficile, ma nonostante tutto l’impegno degli inquirenti e anche della magistratura è stato tale da poter arrivare a un castello accusatorio che secondo me è inattaccabile. Il fatto che oggi i genitori del procuratore capo Bellelli siano venuti qui, è un fatto che ci riempie ancora di più di gioia, anche perché è la vicinanza di un quartiere dove siamo nati e cresciuti, dove è cresciuto anche il procuratore e quindi è una vicinanza doppia, è stata una vicinanza familiare, della città di Chieti. Per quanto riguarda l’esito delle indagini - conclude Di Michelangelo - sono stato da sempre fiducioso e dalla parte delle istituzioni, è necessario avere fiducia in un apparato dello Stato che sicuramente funzionerà e sta facendo di tutto per far funzionare le cose che devono andare come dovevano andare all’epoca e purtroppo non sono andate».

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