Ci eravamo illusi. Che il 2022 segnasse la rinascita del mondo dopo la tragedia condivisa del Covid. E ci trovasse migliori. Non era vero: la pandemia non era ancora finita (e proprio in questi giorni preoccupano le notizie dalla Cina) e ci aspettava una cosa impensabile, che avrebbe reso difficile tutto l’anno, per tutti (che nel pianeta globalizzato non esiste possibile «neutralità»): la guerra, mossa dalla Russia di Putin all’Ucraina col nome ipocrita di «operazione militare speciale». E, di colpo, la consapevolezza della fragilità del nostro mondo, le cui luci possono essere spente con un solo «clic». Così come il ritorno di parole – di paure – che sembravano dimenticate, appartenenti al passato: «minaccia nucleare», «crisi energetica».
E alle macerie della pandemia si sono aggiunte altre macerie, altre tragiche spaccature, altre preoccupazioni per il futuro. Quasi che si fosse chiuso, forse per sempre, un mondo lanciato in avanti e ottimista, e si dovesse tornare a fare i conti con minacce globali e oscure, come una volta – ricordate? – ai tempi della Guerra Fredda. Solo che, stavolta, minacce e nemici sono ancora più oscuri: il cambiamento climatico, le pandemie, la fragilità del mondo iperconnesso, lo spettro dell’antiscienza. E alcuni Paesi dove la Storia va all’indietro anche più velocemente: il velo di buio che avvolge le donne dell’Iran, dell’Afghanistan. Forse la morte della regina Elisabetta, l’8 settembre, ha chiuso un’epoca. Eppure, anche lei è stata e resta simbolo d’una grande forza di cui il pianeta dispone: il femminile, potente e ineludibile. La stessa forza delle donne ucraine che tengono assieme il Paese martoriato, delle iraniane che sfidano il regime, di tutte le donne che infrangono il tetto di cristallo (e in Italia – paradosso – ci voleva il verdetto elettorale più a destra di sempre per portare una donna, Giorgia Meloni, a Palazzo Chigi).
Che il 2023 incoroni altre regine: tutte le donne che cambieranno, salveranno il mondo.
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