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Freiles, l’artista che ha tratto dal caos... l’armonia

«Ricordo i primissimi disegni dovevo essere molto piccolo, forse avevo solo 3 anni. Disegnavo nei risguardi dei libri di filosofia di mio padre trenini che emanavano molto fumo, usavo una matita grassa. Mio padre s’inquietava perché manomettevo i libri, così quella del disegno per me divenne un’attività segreta»

Messina - «Ricordo i primissimi disegni dovevo essere molto piccolo, forse avevo solo 3 anni. Disegnavo nei risguardi dei libri di filosofia di mio padre trenini che emanavano molto fumo, usavo una matita grassa. Mio padre s’inquietava perché manomettevo i libri, così quella del disegno per me divenne un’attività segreta». Così racconta l’origine della sua folgorazione per l’arte, il messinese Antonio Freiles, 77 anni, a Tommaso Trini in un’intervista contenuta nel raffinato volume biografico pubblicato in questi giorni “Antonio Freiles. L’opera e la critica”, edizioni Carte d’arte Mostre, che documenta tutto il percorso dell’artista, scandito da più di cento “personali” e duecento partecipazioni a rassegne e “collettive” in sedi e istituzioni prestigiose quali il Centre Pompidou di Parigi , il Metropolitan Museum di New York, il Tate Britain Whitechapel Gallery e The London Art Book Fair di Londra, la Fundació Joan Miró di Barcellona e con opere presenti in innumerevoli Collezioni sparse in tutto il mondo.

Dal volume emerge, oltre il peso delle produzioni e dell’attività di curatela di eventi del maestro messinese, la dimensione internazionale delle relazioni e collaborazioni con artisti, galleristi, responsabili di importanti istituzioni culturali. Un bisogno di confronto con personalità e temi dell’arte contemporanea, hanno portato Freiles a stare in ampi circuiti «con i piedi a Messina e la testa a Milano».

Il volume, distribuito dalla Libreria Antiquaria Pontremoli di Milano, alterna opere, contributi critici e una galleria fotografica di incontri con artisti e intellettuali quali Gillo Dorfles, Michelangelo Pistoletto e Alberto Burri (nelle tre foto), e tanti altri. Numerosissimi i contributi dei più affermati critici italiani e stranieri: una polifonia di letture di aspetti della pittura aniconica di Freiles, del suo lessico tra segni, forme, colori, architetture, moduli narrativi, elementi spaziali e simbolici, archetipi di soluzioni formali e di ordine della sua originale visione.

La prefazione è di Giampiero Mughini. E l’editore Scheiwiller annota: «La sua tecnica è vicina e cara ad un editore e bibliofilo: l’antica tecnica della carta fatta a mano, rielaborata attraverso il colore. La tecnica come valore dominante». Questo processo alchemico di Freiles di costruire la carta e al contempo il quadro, viene rimarcato da tante voci, come quella di Franco Fanelli: «È in dialogo serrato tra la fisicità dei materiali, delle tecniche e delle tipologie e l’immaterialità dell’elaborazione concettuale di ritmi e forme». Incisivo il contributo di Gillo Dolfles: «Freiles ha dentro di sè una lunga stagione di attività pittorica basata quasi costantemente sull’uso di una peculiare tecnica che la rende inconfondibile... Qui protagonista assoluta è la carta “manipolata”, anzi costruita addirittura utilizzando la polpa di cellulosa assieme a pigmenti cromatici…».

Scrive Silvia Freiles: «L’opera mantiene in se l’autenticità del fare, il piacere della fabbrilità e della scoperta, non perdendo mai la radice misteriosa ed imprevedibile che è capace di elevarsi verso un diverso e più alto ventaglio di significati». La ricerca dell’artista è coerente dagli esordi fino alle ultime sperimentazioni, così la commenta Willy Montini: «Si frammenta, si declina in forme e modi differenti, ma rimane e resta, negli anni, un continuum, solido, definito e personale». La sua ricerca, oltre che stilistica, è tensione emotiva e ontologica come scritto da Eugenio Miccini: «Ha sostituito la realtà con un mondo di enigmi , di misteriose apparenze, che vagano non più nei paesaggi… ma in quelli per così dire dell’anima» . In un cammino, spesso solitario e tensivo, come ribadisce Giovanna Giordano: «In questa pittura c’è anche gravezza: è come se insieme alla cellulosa macerasse qualche cosa. Forse un turbamento». Di sicuro il desiderio di ordinare e «comporre il caos in forme più armoniche», come scrisse Carlo Castellaneta, sul Corriere della Sera.

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