Martedì 07 Maggio 2024

Freiles, l’artista che ha tratto dal caos... l’armonia

Antonio Freiles, un dipinto nella casa di Malcom Scott Hardy, ministro della Cultura inglese
Antonio Freiles con Gillo Dorfles
Antonio Freiles con Michelangelo Pistoletto
Antonio Freiles con Alberto Burri

Messina - «Ricordo i primissimi disegni dovevo essere molto piccolo, forse avevo solo 3 anni. Disegnavo nei risguardi dei libri di filosofia di mio padre trenini che emanavano molto fumo, usavo una matita grassa. Mio padre s’inquietava perché manomettevo i libri, così quella del disegno per me divenne un’attività segreta». Così racconta l’origine della sua folgorazione per l’arte, il messinese Antonio Freiles, 77 anni, a Tommaso Trini in un’intervista contenuta nel raffinato volume biografico pubblicato in questi giorni “Antonio Freiles. L’opera e la critica”, edizioni Carte d’arte Mostre, che documenta tutto il percorso dell’artista, scandito da più di cento “personali” e duecento partecipazioni a rassegne e “collettive” in sedi e istituzioni prestigiose quali il Centre Pompidou di Parigi , il Metropolitan Museum di New York, il Tate Britain Whitechapel Gallery e The London Art Book Fair di Londra, la Fundació Joan Miró di Barcellona e con opere presenti in innumerevoli Collezioni sparse in tutto il mondo. Dal volume emerge, oltre il peso delle produzioni e dell’attività di curatela di eventi del maestro messinese, la dimensione internazionale delle relazioni e collaborazioni con artisti, galleristi, responsabili di importanti istituzioni culturali. Un bisogno di confronto con personalità e temi dell’arte contemporanea, hanno portato Freiles a stare in ampi circuiti «con i piedi a Messina e la testa a Milano». Il volume, distribuito dalla Libreria Antiquaria Pontremoli di Milano, alterna opere, contributi critici e una galleria fotografica di incontri con artisti e intellettuali quali Gillo Dorfles, Michelangelo Pistoletto e Alberto Burri (nelle tre foto), e tanti altri. Numerosissimi i contributi dei più affermati critici italiani e stranieri: una polifonia di letture di aspetti della pittura aniconica di Freiles, del suo lessico tra segni, forme, colori, architetture, moduli narrativi, elementi spaziali e simbolici, archetipi di soluzioni formali e di ordine della sua originale visione. La prefazione è di Giampiero Mughini. E l’editore Scheiwiller annota: «La sua tecnica è vicina e cara ad un editore e bibliofilo: l’antica tecnica della carta fatta a mano, rielaborata attraverso il colore. La tecnica come valore dominante». Questo processo alchemico di Freiles di costruire la carta e al contempo il quadro, viene rimarcato da tante voci, come quella di Franco Fanelli: «È in dialogo serrato tra la fisicità dei materiali, delle tecniche e delle tipologie e l’immaterialità dell’elaborazione concettuale di ritmi e forme». Incisivo il contributo di Gillo Dolfles: «Freiles ha dentro di sè una lunga stagione di attività pittorica basata quasi costantemente sull’uso di una peculiare tecnica che la rende inconfondibile... Qui protagonista assoluta è la carta “manipolata”, anzi costruita addirittura utilizzando la polpa di cellulosa assieme a pigmenti cromatici…». Scrive Silvia Freiles: «L’opera mantiene in se l’autenticità del fare, il piacere della fabbrilità e della scoperta, non perdendo mai la radice misteriosa ed imprevedibile che è capace di elevarsi verso un diverso e più alto ventaglio di significati». La ricerca dell’artista è coerente dagli esordi fino alle ultime sperimentazioni, così la commenta Willy Montini: «Si frammenta, si declina in forme e modi differenti, ma rimane e resta, negli anni, un continuum, solido, definito e personale». La sua ricerca, oltre che stilistica, è tensione emotiva e ontologica come scritto da Eugenio Miccini: «Ha sostituito la realtà con un mondo di enigmi , di misteriose apparenze, che vagano non più nei paesaggi… ma in quelli per così dire dell’anima» . In un cammino, spesso solitario e tensivo, come ribadisce Giovanna Giordano: «In questa pittura c’è anche gravezza: è come se insieme alla cellulosa macerasse qualche cosa. Forse un turbamento». Di sicuro il desiderio di ordinare e «comporre il caos in forme più armoniche», come scrisse Carlo Castellaneta, sul Corriere della Sera.

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