Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Tina Modotti in mostra a Milano: la fotografia al servizio della lotta per gli uomini

"Donne, Messico e libertà" negli scatti antichi e attualissimi di una vera, grande guerriera

Si vuol far capire nel modo più banale possibile che parliamo di Messico? Basta ricorrere alla foto del più diffuso e del più semplice degli stereotipi: il sombrero, magari aggiungendo una chitarra e un adeguato poncho. Invece, se dietro l'occhio che fotografa e ci rimanda l'immagine c'è l'arte e una precisa indicazione di battaglia sociale e di realismo, che ha il piglio della denuncia, allora tutto si ribalta e quel sombrero, consunto per ovvietà da troppo uso, diventa e ridiventa altro: descrizione di un popolo, racconto di diritti da conquistare, lavoro duro ma onorevole, dignità di costumi familiari, manifesto politico.

Insomma, un simbolo, forte ed efficace, dei campesinos, i contadini che furono protagonisti della rivoluzione messicana negli anni Dieci del secolo scorso, idealmente collegata con quella della Russia. Le fotografie, antiche e contemporanee, sono quelle di Tina Modotti (Udine, 1896 - Città del Messico, 1942), un centinaio, protagoniste di una mostra al Mudec, Museo delle Culture, promossa dal Comune di Milano - Cultura, prodotta da 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Sudest57 e con il Comitato Tina Modotti di Udine, che rimarrà aperta fino al 7 novembre. Titolo, molto chiaro: “Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà”.

Il sombrero, usato come ribaltamento dell'ovvio, non è solo quello famosissimo ritratto con sopra falce e martello, uno still life (simile a ciò che in pittura viene chiamata natura morta) significativo e in grado di esprimere la situazione emotiva di un momento storico fondamentale. Mi riferisco soprattutto ad altre due foto: “Contadini che leggono El Machete” (1927) e “Campesinos alla parata del Primo Maggio” (1926), apice della sua leggendaria e breve carriera di fotografa insieme con le immagini dedicate alle donne della provincia di Tehuantepec. E lei, nel momento (1929) in cui fu costretta a lasciare ingiustamente quel Messico che aveva tanto amato, scrisse questo concetto in una lettera indirizzata al suo maestro americano (per un periodo anche compagno) Edward Weston (le cui foto di Tina sono in mostra): «… sarà quasi un dovere mostrare non tanto quello che ho fatto qui, ma piuttosto ciò che può essere fatto senza ricorrere a chiese coloniali, charros, chinas poblanas (cow boy messicani e abbigliamento femminile tradizionale ottocentesco, nda) e simili schifezze su cui la maggior parte dei fotografi si è soffermata». Sombrero compreso, ovviamente.

Del resto i costumi femminili che più le interessavano erano quelli di Tehuantepec, gli stessi che ritroviamo nei dipinti e negli abiti della sua amica Frida Kahlo (con cui forse ebbe anche una relazione, cosa possibile dato che si trattava di due donne autenticamente libere, in qualunque tipo di scelta), conosciuta ancora prima che sposasse Diego Rivera. Le azioni e i pensieri di Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, detta Tina, partivano da lontano, da un'infanzia negata, trascorsa nella povertà e nel lavoro minorile, prima di emigrare a San Francisco, negli Usa, dove, recitando a teatro nella comunità italiana, entrò in contatto con intellettuali, che la iniziarono alla politica sociale, così consonante alla sua vita vissuta.

Le sue scelte furono fortificate da una breve esperienza a Hollywood, dove girò tre film (uno da protagonista), avvertendo un interesse troppo legato al suo evidente fascino e quindi vuoto di contenuti. Da Los Angeles al Messico il passo fu breve, perché quella città americana era legata all'immigrazione di chi sfuggiva alla dittatura. Il trasferimento cambiò completamente la sua vita attraverso la scelta della fotografia come espressione della necessità di arte e l'adesione totale alla causa comunista internazionale.

«Le immagini firmate da Tina giunte fino a noi - scrive la curatrice Biba Giacchetti - , a oggi stimate poco più di 200, attraversano solo una decade della sua breve esistenza, alle cui pulsioni artistiche e politiche sono intimamente connesse». E la sua ricerca della qualità dell'immagine è oggi sempre più riconosciuta, tanto che “Prospettiva con cavi telefonici” nel 2019 è stata battuta all'asta per 692mila dollari. In breve la sua vicinanza ai rivoluzionari messicani (non privi di contraddizioni e rivalità) la portò prima a essere modella di Rivera per i suoi murales e poi a scoprire e fotografare il mondo rurale, con particolare attenzione a donne e bambini, cui ha dedicato per intero il suo mondo espressivo.

Dopo la dolorosa e pretestuosa espulsione dal Messico, seguita all'ingiusta accusa di essere connivente nell'assassinio del suo compagno, l'esule cubano Julio Antonio Mella, si trasferì a Berlino e poi a Mosca, dove, insieme con un altro italiano - Vittorio Vidali, ultimo suo compagno - divenne organica all'Urss, andò in missione in varie parti del mondo, ma soprattutto partecipò alla guerra civile di Spagna nel Soccorso Rosso. Chiese inutilmente di essere mandata in missione in Italia e rientrò in Messico, delusa dal patto Stalin-Hitler e nel 1942 morì di notte, sola in un taxi, per un attacco cardiaco. I giornali di destra la attaccarono anche da morta. Pablo Neruda, indignato, le dedicò una poesia che comincia così: «Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l'ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente sorella. Sul gioiello del tuo corpo addormentato ancora protende la penna e l'anima insanguinata come se tu potessi, sorella, risollevarti e sorridere sopra il fango».

Caricamento commenti

Commenta la notizia