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Così Disney raccontò le sue storie immortali: in mostra i capolavori, da "Biancaneve" a "Frozen" I DISEGNI

Una bellissima mostra al Mudec di Milano. Le trame, i personaggi e poi il paziente lavoro di disegno e animazione. Fino al capolavoro

Rendere plausibile l’impossibile. Così quella grande officina del disegno che è stata ed è la Walt Disney è riuscita a dare nuova immortalità a storie che di per sé erano già immortali e a (ri)creare personaggi, legati alla loro origine e tuttavia nuovi nella definizione dei caratteri, buoni e cattivi, veri campionari del genere umano. Con una possibilità in più: l’antropomorfizzazione degli animali (e degli oggetti), tipica delle favole che sono anche parabole, e che diventa realtà scenica finalizzata a far divertire i bambini, ma pure – fra l’altro - a stuzzicare nei grandi quella speranza sottesa alle più diverse fra le idee sull’esistenza, ovvero la reincarnazione in qualsiasi altra specie vivente. Tutto un mondo, insomma, realizzato con la fantasia per raccontare la realtà e che proprio di realtà è fatto nel suo incredibile “dietro le quinte”, composto da artisti e artigiani e da un numero incalcolabile di disegni per poter realizzare un solo film di cartoni animati, da “I tre Porcellini” del 1933 e “Biancaneve e i Sette Nani” del 1937 a “Frozen 2 – Il segreto di Arendelle” del 2019, con mesi e talvolta anni di dettagliatissima preparazione.
“Disney. L’arte di raccontare storie senza tempo” è la mostra che tutto questo fa scorrere davanti ai nostri occhi, allestita al Mudec di Milano fino al 13 febbraio. Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore, è curata dalla Walt Disney Animation Research Library, con la collaborazione di Federico Fiecconi, storico e critico del fumetto e del cinema di animazione. Il percorso espositivo diventa a sua volta una grande storia per narrare, e far vedere con esempi pratici, come nascevano le trame e i personaggi e tutto l’incredibile lavoro preparatorio, che partiva dalla capacità di conoscenza dell’animo umano. Non a caso Walt Disney, decorato con un numero incredibile di Oscar (26), è stato definito un “novello Esopo”, creatore moderno di storie archetipiche e che, per questo, ci riguardano tutti.

Il racconto

«Perché i racconti – scrive Fiecconi nell’interessante catalogo – trasferiscano sullo schermo l’incantamento della tradizione orale in modo convincente, è richiesto un processo complesso, un lavoro collettivo di competenze e talenti multidisciplinari e visionari». Gruppi dove sicuramente trovavano posto anche psicologi, capaci di approfondire quelle che sono le nostre reazioni e riprodurle in personaggi-animali, iconici dell’umanità quali sono, per esempio, Topolino e Paperino. Le sezioni tematiche della mostra sono legate ai temi ispiratori dei film: miti, leggende medievali, folklore, favole (con protagonisti animali) e fiabe (con protagonisti umani). Il grande patrimonio, scritto e orale, che dagli autori greci arriva ai Fratelli Grimm, Perrault e Andersen, viene rivisto, pur in una sostanziale fedeltà, per renderlo in animazioni. Vengono smussate certe crudeltà, anche se la lotta tra il bene e il male rimane fondamentale, si valorizzano e si inventano personaggi e situazioni.
L’esempio migliore viene da “Biancaneve”: nell’originale dei Grimm i sette nani sono marginali e indistinti, nel film diventano fondamentali. «Potevamo renderli veicoli di umorismo, non solo nell’aspetto fisico ma anche nei loro vezzi, nelle personalità individuali, nelle voce, nei gesti», raccontò Disney. Per ogni film vediamo tutto il percorso creativo dello sviluppo di ogni idea: dai primi spunti narrativi ai primi disegni dei personaggi, al rapporto fra loro e le costruzioni ambientali, cui ogni volta lavoravano centinaia di artisti.
Una lunga successione di disegni, in cui prendono forma i personaggi, all’inizio dai contorni incerti e poi definiti come li abbiamo visti al cinema. Prima che la computer grafica rendesse oggi più agevole il lavoro (“La Sirenetta” del 1989 fu l’ultimo film dipinto a mano), i disegni preparatori in mostra sono autentiche opere d’arte, in gran parte materiale inedito, che utilizzano grafite, matite colorate, pastelli, carboncini, acquerelli (qui ci sono evidenti capolavori per le espressioni e per il dinamismo, sempre significativo), tempere, acrilici e collage. Una mole di lavoro talmente enorme da sembrare incredibile che possa essere stato portato avanti.
Dietro ogni film c’è anche la capacità di innovazione, di ricrearsi con un’idea inedita come è accaduto con “Fantasia”, il film realizzato nel 1940 su composizioni classiche famose, rimasto ancora oggi insuperato. Molto spazio è dedicato a “Pinocchio”, la pellicola “italiana” di Disney (1940), frutto di un viaggio in Europa, da cui l’autore-produttore tornò con una valigia di libri, fra cui quello di Collodi. A Milano è arrivato anche il Pinocchio di legno, a suo tempo utilizzato per il tour promozionale. Cambiate le tecniche, attualizzate le storie, il cinema d’animazione resta e si evolve senza dimenticare la tradizione.
Del resto Walt Disney, scomparso nel 1966, lo aveva già capito. Come tutti i grandi, era lungimirante. Scrisse: «È curioso come più il mondo si fa piccolo a causa delle comunicazioni elettroniche, e più si estende senza confini il territorio di chi narra storie di intrattenimento».

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