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Terremoto di Messina e Reggio del 1908: perché caddero gli edifici

Le analisi di tecnici e studiosi all’indomani del disastro sulle due sponde

Riproponiamo un articolo di Anna Mallamo tratto dall'inserto speciale pubblicato dalla Gazzetta del Sud il 28 dicembre 2008, in occasione del centenario del terremoto del 1908 di Messina e Reggio Calabria.

L'intero speciale, a cura di Anna Mallamo, è disponibile qui.

 


 

«Messina non è morta di morte naturale, è perita per suicidio» scrisse il 27 gennaio 1909 su “La Stampa” uno degli inviati più brillanti sulle macerie di Messina, Giuseppe Antonio Borgese. E continuò: «Guardatele, queste carcasse di case, a due, a tre, a quattro piani, tutte di materiale fragile e vile, collocate su fondamenta provvisorie, addossate, come il caso voleva, l’una sull’altra. Le pareti erano sottili come uno strato di cartapesta, le volte leggere come gusci di noce, pare dovessero risonare se percosse dalle nocche di una mano». Proseguì con un’immagine ideale dell’ideale città futura, di villette basse e leggiadre, e abbondanza di legno (le costruzioni in legno furono in gran parte risparmiate dal terremoto) e «muri parabolici, cemento armato, catene». Una via di mezzo tra un villaggio svizzero e un paese mediterraneo...

In effetti, al di là degli effetti speciali del giornalismo, c’è molto di vero in questa riflessione, per Messina ma pure per Reggio. Lo confermano gli studi eseguiti, nell’immediatezza del disastro, da insigni esperti dell’epoca, come Mario Baratta, autore di una dettagliatissima relazione sui danni alla Società geografica, e lo stesso Giuseppe Mercalli, lo scienziato che dà il nome alla “scala sismica”. O anche il giapponese Fusakichi Omori.

«La catastrofe immane che ha travolto Messina – scrisse Baratta – oltre che dalla inaudita concussione tellurica dipende da alcuni altri coefficienti», ovvero «le condizioni litologiche e topografiche del suolo; la natura e lo stato delle costruzioni e dei danni subiti in occasione di precedenti terremoti e non riparati a regola d’arte». È diverso se nel sottosuolo si trovano terreni alluvionali recenti, sabbie, acqua o rocce cristalline (il messinese forte Gonzaga, che sorgeva sul cristallino, subì solo lievissimi danni). Ed è diverso se, su tutto ciò, si costruisce in un modo scriteriato o in un modo oculato, come fece subito notare il posatissimo Baratta.

Lo studioso – come il collega giapponese Omori – puntò subito il dito sulle «sopraelevazioni scriteriate», realizzate senza rafforzare la struttura muraria primitiva; sui muri troppo esili; sui rivestimenti esterni sontuosi che non formavano un corpo unico con la struttura muraria, ma la appesantivano oltre misura, da cui le rovine immense dei palazzi più fastosi. E i materiali? Pietrame non omogeneo, calce di qualità scadente, sabbia marina non adeguatamente lavata, ciottoli rotondi a superficie levigata.

«Mentre negli edifizi più antichi – si legge nel Baratta – le rovine si presentano in generale in massi di grandi dimensioni, nelle nuove costruzioni, data la peggiore qualità delle malte, i muri sono stati letteralmente ridotti in briciole... nelle parti costruite in laterizi la struttura si è sciolta, e i mattoni giacciono ammonticchiati sulla polvere e i ruderi senza nemmeno portar la minima traccia delle malte che li dovevano tenere legati. Ciò indica che il mattone non era stato preventivamente annegato nell’acqua: il che sarebbe stato necessario in una località il cui clima caldo fa asciugare con troppa celerità le malte, impedendo loro di compiere una presa efficace».

Per Reggio, Baratta analizzò in particolare il quartiere di Santa Lucia, che fu duramente colpito: i muri erano fatti esclusivamente di pietrame rotondo, di ciottoli e di “maddo”, o “mato” (una malta terrosa dei piani di Modena e Condera, due zone cittadine) con poca calce. E sono impressionanti le conclusioni cui giunse dopo aver osservato le rovine della Caserma Mezzacapo, che seppellì circa 270 soldati (per lo più reclute giunte solo la sera prima a Reggio): «la sua costruzione era pessima», e aveva già subito danni per i sismi del 1894 e del 1905 e 1907. «Come mai le autorità competenti – si chiese Baratta – hanno permesso una costruzione pessima sotto tutti i rapporti, specie poi in una regione di elevata sismicità?». Già, come mai?

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