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Ligabue in mostra a Conversano. Ma per piacere, non chiamatelo soltanto naïf

Emozionano ancora, sempre i suoi feroci, crudi autoritratti e i suoi splendidi animali in lotta

Lo si definisce artista naïf. Ma poco ha da spartire con l’innocenza dei primitivi naïf (appunto “ingenui”) amabili, sognatori, infantili nel tratto. Dipingono in letizia scenette di genere, i mestieri della campagna. Vedi il naïf per eccellenza, il Doganiere Henri Rousseau, o gli jugoslavi che comparvero intorno agli anni 40 ed ebbero grande popolarità. Invece, la sconfinata produzione di Antonio Ligabue, pur comprendendo anche serene scene bucoliche e miti animali, si distingue piuttosto per il travagliato percorso dell’esistenza del pittore e per la tragicità che egli traspone disperatamente con tratto feroce in soggetti aggressivi.

Antonio Ligabue – di cui è stata appena inaugurata una grande mostra al Castello di Conversano (Bari), che chiuderà l’8 ottobre – è vissuto e ha operato quasi esclusivamente a Gualtieri di Reggio Emilia. Ma era nato a Zurigo (1889) da madre bellunese e padre ignoto, e subito affidato a una povera famiglia svizzera. Ombroso e caratteriale, prima dei 15 anni viene internato in un istituto per “ragazzi deficienti”. Tre anni dopo è ricoverato in una casa psichiatrica da dove nel 1919 viene addirittura espulso dalla Svizzera. Antonio, senza conoscere una parola di italiano, approda così a Gualtieri, in casa di parenti. È piccolo, brutto, rachitico, scorbutico. Ha una passione: la pittura. Dipinge selvaggiamente quadri angosciosi di furibondi animali. Gli abitanti di Gualtieri lo soprannominano «el matt».

Lui, tra solitudine e eccessi di collera, inizia una vita di vagabondaggio e di stenti. Continua a dipingere i suoi improbabili quadri che nessuno apprezza finché, nel 1928, incontra Renato Mazzacurati, artista della Scuola romana, che ne comprende il tormentato talento artistico e gli insegna a utilizzare i colori. Ligabue diventa davvero pittore e prende consapevolezza del proprio valore. Anche se stenta a vendere le sue opere, inizia a proclamare di essere un grande artista e che tra un po’ di anni i suoi quadri saranno venduti a caro prezzo. Be’, matto sì, ma abbastanza chiaroveggente.

Restano ossessivi i suoi soggetti: Ligabue si dedica alla rappresentazione della feroce lotta per la sopravvivenza degli animali della foresta, e agli animali in genere, cui si sente affine. Si autoritrae poi centinaia di volte, insistendo sul suo inquietante sguardo allucinato. Nel 1937 è di nuovo ricoverato in ospedale psichiatrico. Una breve pausa di serenità interviene quando l’amico pittore Andrea Mozzali lo preleva da lì e lo ospita a casa sua. Ligabue ricomincia a dipingere con furore, produce intensamente. Inizia a esporre in piccole mostre, a guadagnare i primi soldi. S’innamora persino, di Cesarina, una ostessa di Guastalla che vorrebbe sposare. Non se ne farà niente.

Nel 1962, vittima di una paresi, è accolto nel Ricovero di mendicità Carri di Gualtieri, dove muore il 27 maggio 1965, munito dei conforti religiosi. L’annuncio della morte, composto dall’Istituto, verrà affisso sui muri cittadini con un commento inatteso: «...La caratteristica figura di Ligabue, così familiare nella nostra zona, scomparirà forse dalla nostra memoria, ma la bellezza delle sue opere parlerà, anche alle generazioni future, di uno spirito che soffrì e amò con eccezionale forza di sentimenti». Il tardivo riconoscimento che Ligabue aveva predetto era finalmente arrivato.

La pittura di Antonio Ligabue non è consolatoria: il suo tragico messaggio è perturbante, ma l’approfondimento psicologico del soggetto non può non coinvolgere. Inoltre, attraggono la potenza dell’immagine e l’esperienza incredibile del suo gesto autodidatta, evidente soprattutto nei disegni, matita o china su carta qualsiasi.

Lascia stupefatti la perfezione degli animali. Dove trovava i modelli? E affascinano i colori a olio: piatti, densi, sicuri. Infallibili. Tra i capolavori esposti, commuove la «Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero» (1956), tema ricorrente qui in versione angelicata, dove un’unica nota pessimista: il fumo inquinante che esce da una ciminiera. Dei mille autoritratti, quello con sciarpa rossa (1952-62) è uno dei più iconici. Così come il «Ritratto di Marino» ( 1932-52) . Tra gli animali, dominano il leone e i grandi felini.

Da non dimenticare infine la forza possente delle sculture. La mostra di Conversano dedicata ad Antonio Ligabue, una delle più importanti degli ultimi anni, consta di oltre 60 opere. Prodotta e organizzata da Arthemisia è articolata cronologicamente. Curatrice Francesca Villanti. Catalogo Skira. L’esposizione è ulteriormente arricchita da documenti, foto e proiezione del film di Raffaele Andreassi (1961).

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