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Una playlist per te. L'Eurovision dei Maneskin: nobili mura frantumate a colpi di rock

Fino a cinque anni fa nemmeno esistevano. Poi hanno insistito, resistito.
È un riconoscimento potente, capitale quello ai quattro “pazzi” di Roma. Forse, chissà, bisognava arrivare lì a vent'anni per crederci fino in fondo, oltre il fondo di un certo retaggio. Per fare il salto. Per dimostrare che queste nostre mura alte, di nobilissimi mandolini e tarantelle popolari, (sovra) strutturate, potessero abbattersi, frantumarsi a suon di chitarra, basso, batteria e voce.
Sicuro ce ne sono voluti trentuno, di anni, per riprendersi una scena che ci era toccata solo un paio di volte, che un paio d'anni fa con Mahmood avevamo giusto sfiorata. E ridisegnarla, sceneggiarla, scenografarla, a tutto tondo. Marcando i gradi di un impero che pare solo all'alba delle proprie conquiste.

La più classica delle formazioni, sporcata dalle distorsioni di un modo d'essere scomposto, attrattivo, attraente. Il fascino fasciato dall’habitus, sfasciato e a petto nudo. Il gran pezzo di un intero che si compone ad ogni esibizione, che travalica e non prevarica.

Un testo italiano, di un gruppo italiano, in una classifica (una playlist che vale la pena di ascoltare) in cui, ad esempio, la Gran Bretagna è rimasta ultima, a zero. Nulla da dire sulla “sviolinata” in perfetto stile francese o sulle impeccabili “politiche” svizzere che per le esperte giurie nazionali (nazionaliste?) hanno meritato più punti di tutti. Libero voto, sacrosanto.
Tanto parla il pubblico, la gente (per fortuna) parla tanto e ad alta voce. E grida (lo dicono i dati, lo aveva predetto Spotify) che c'è un Paese, in Europa, in cui si fa rock (quel rock che è madrepatria di generi sotto-generi), vincente. È l'Italia, “signore e signori”, che svetta tra gli ascolti di un intero, antico continente. Merito, assoluto, dei Maneskin che prima... zitti e buoni... si sono presi anche il palco della Rotterdam Ahoy (dopo X Factor, il Festival, i “platino”, gli applausi).

Per poi, trofeo alla mano, sfuggire alla benemerita censura e schizzare, scheggiarlo quel palco con la loro versione integrale, quella che a Sanremo nessuno aveva osato “correggere”. Drogati, ma di musica. E testati. Risultato? Sono semplicemente “fuori di testa, ma diversi da loro”.

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