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"Ligabue... è andata così". Su RayPlay la docuserie in 21 episodi

E poi succede che nel periodo più brutto nasca la cosa più bella, che incontri un amico e a lui, con lui racconti «trent'anni come si deve» di carriera tra canzoni, film, libri, poesie. Tra palco e retroscena, tra Luciano e realtà.

Ligabue... È andata così

Esce oggi, il 12.10.21. E la somma fa 7, è un caso? Allora è un caso che ritorna, agganciato alla storia della sua vita. “Ligabue... è andata così”, su RaiPlay (prodotto da Friends & Partners per la regia di Duccio Forzano), è una docuserie in 21 episodi (di 15' ciascuno) divisi in 7 capitoli e altrettanti filoni, con il rocker più autobiografico che mai e Stefano Accorsi che tiene le fila nel ruolo del dj confidente. 300 minuti di girato, ospiti e testimoni (come Elisa, Francesco De Gregori, Pierfrancesco Favino, Massimo Recalcati, Max Cottafavi, Mauro Coruzzi, Eugenio Finardi, Gino e Michele, Linus, Federico Poggipollini, Nicoletta Mantovani, Camila Raznovich, Gerry Scotti, Walter Veltroni...), "sbracate", processi psicologici. E una programmazione per "spettatori compulsivi".

Gli altri angoli della musica

Fuori dal glamour più patinato ci sarà dentro molto, anche la scelta di escludere qualcosa. Ci saranno le mancanze, il punto di vista dietro il pensiero, quello che è il successo e quello che non è successo, le accelerazioni e le frenate brusche. Dall'uomo che suonava nei parcheggi all'artista da record, passando per quel modo di «cambiare cedendo alle sollecitazioni emotive di questo mestiere». La Storia intrecciata alle storie, i testi e i contesti. Ci sarà la sua musica vista dal palco e i suoni guardati da dentro.

Mai lamentarsi del brodo grasso

E le crisi, tre grandi crisi (spoiler della quinta puntata). La prima dopo il boom dell'esordio, dopo il terzo album, «dopo quel Sopravvissuti e Sopravviventi che sembrava aver fatto piazza pulita dei due album precedenti». Poi il pubblico l'ha ritrovato, e con la gente «l'ansia di gestire una certa popolarità». Erano gli anni 90, erano tornate le chitarre, il muro di Berlino era caduto e Internet apriva il mondo. Lì, in quel tempo è arrivato (per fortuna, per bisogno, per esorcismo) Miss Mondo e ha riacceso il lume. Almeno fino a Made in Italy, un concept che diventa film che si tira dietro il disco. Così, nel massimo sforzo di tenersi accesi, «le corde vocali che cedono al male, che si prendono la voce, che ti tolgono il volume». Ma... «mai lamentarsi del brodo grasso» si dice dalle sue parti, in quella provincia che puntella la serie dall'alto, la stessa in cui tornerà a festeggiare (a Campovolo, nel 2022) il suo traguardo con due anni di ritardo. Perché «me lo merito».

Un tossico in astinenza

È partito dai campi Ligabue, con la raccolta della frutta. È stato operaio («apri e chiudi lo sportello, mille volte al giorno») ragioniere, dj, promoter, persino consigliere comunale per due sedute. Il tempo di capire che era tossico del live, che avrebbe dovuto correre avanti per inseguire quel primo disco che non arrivava mai. Dagli Orazero fondati a 26 anni fino all'altro ieri, quando la pandemia lo ha costretto all'astinenza. A fermarsi dopo trent'anni, «a guardare indietro, alla collezione di numeri impressionanti rivisti con piacere, nostalgia, tenerezza».

Il prossimo 16 ottobre presenterà il videoclip ufficiale di “Sogni di rock’n’roll” (il corto diretto da Fabrizio Moro che mette le immagini al brano di Liga del 1990) alla Festa del Cinema di Roma. In chiusura della serie, invece, c'è una promessa di futuro tra lui e Stefano Accorsi di cui non si può dire di più. Per il resto, «ho sempre guardato alla mia stella polare, credo di aver fatto tutto quanto volevo fare. Il resto che verrà sarà improvvisazione».

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